A meno di dieci giorni dalla fine della campagna elettorale, Guglielmo Epifani torna a Messina per incontrare i sostenitori e non risparmia stoccate agli avversari.
«Questa legge elettorale, che noi di LeU abbiamo combattuto con tutte le nostre forze, allontana i cittadini dal voto. Questa legge – ricorda Epifani – è stata fortemente voluta da tre partiti e da tre persone: Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Il Rosatellum non va bene, non solo perché i cittadini non possono scegliere, ma perché determina una situazione visibilimente sbagliata. Da una parte non privilegia la rappresentatività e dall’altra non riesce nemmeno ad assicurare la governabilità».
«Noi siamo l’unica risposta per chi vuole votare il Centro-Sinistra». Con queste parole, Domenico Siracusano (LeU Messina) ha inaugurato l’evento “Facciamo ripartire l’Italia. Lavoro, Sviluppo, Mezzogiorno” organizzato da Liberi e Uguali venerdì pomerigio alla Chiesa di Santa Maria Alemanna. «Soprattutto qui a Messina, posso dire – ribadisce Siracusano – che gli unici candidati di Sinistra sono nelle liste di Liberi e Uguali». Posizione ampiamente condivisa dai candidati presenti: Gabriele Siracusano (candidato all’uninominale di Messina), Maria Flavia Timbro, Gaetano Tirrito, Alessandra Minniti.
«Questa campagna elettorale non è trasparente, pubblica». L’affondo di Epifani si estende anche al modo con cui è stata condotta la campagna elettorale dalle altre forze politiche. «Noi eravamo abituati ai comizi, ai confronti tra i candidati, tra i leader, ai volantini, ai manifesti. Dov’è il problema di una campagna elettorale con queste caratteristiche? Quando non c’è la parte pubblica, resta solo quella sommersa, opaca. Ed è quella parte che desta preoccupazioni».
«Oggi – incalza Epifani– è stato arrestato il sindaco di Acireale, accusato di aver spinto due piccoli imprenditori acesi a promettergli il voto, con l’aiuto di agenti della polizia locale».
Richiamando le parole del procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, Epifani sottolinea: «questa è una pratica odiosa. Non solo si viola il diritto del cittadino elettore di votare liberamente, ma in questo modo cresce la sfiducia nei confronti delle Istituzioni. Una democrazia che si forma attraverso queste modalità non regge nel lungo periodo».
Il candidato di LeU alla Camera, però, insiste sul Rosatellum. «Tale legge consente di creare aggregazioni elettorali senza programma e senza leader, con le quali si prendono in giro i cittadini. Con questo sistema – anche qui a Messina – si sta insieme solo per convenienza, solo per vincere le elezioni. Come si raccapezza l’elettore? La verità è che Renzi ha sbagliato tutto sulla legge elettorale. Questa favorisce la Destra, svantaggia il suo partito e spacca la Sinistra in Italia».
Sulla proposta di Liberi e Uguali, Epifani è chiaro. «Il nostro è un programma serio, credibile, forte, che parte da un’affermazione esplicita. Per ridurre le disuguaglianza si deve partire dagli investimenti pubblici».
«Questo Paese ha perso €30 miliari di investimenti pubblici dall’inizio della crisi. Un Paese che non investe è destinato al degrado. L’investimento privato non può sostituire quello pubblico, senza il quale, i Comuni non hanno le risorse per affrontare i problemi della comunità. Noi di Liberi e Uguali siamo gli unici a parlare di investimenti pubblici che dal Comune arrivano sul territorio. Questi investimenti devono puntare sulla sicurezza del territorio, sulla sanità, sulla scuola».
Dall’intervento di Epifani emerge un senso di profonda delusione verso il PD e la sua “svolta a destra”, in particolare, nelle politiche sul lavoro. «La politica del Jobs Act – insiste – è stata fallimentare. 500 mila posti di lavoro in più, secondo le stime ufficiali», ma analizzando i numeri, «solo 50 mila sono a tempo indeterminato mentre dei 450 mila posti di lavoro a tempo determinato, 150 mila (cioè 1/3) non raggiungono i “sette giorni” di lavoro all’anno». Questo significa che «la precarietà sta aumentando, in altre parole, il Jobs Act ha fallito». In questa cornice, Epifani critica aspramente la scelta dell’abrogazione dell’articolo 18. «Una serie di decisioni – dice – che doveva favorire l’assunzione a tempo indeterminato e che, invece, ha mandato un messaggio politico chiaro alle imprese: i diritti dei lavoratori si possono comprimere».