di Carmelo Catania – Qualche giorno fa il Consiglio dei ministri, su richiesta del Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, ha approvato la dichiarazione dello stato d’emergenza per la gestione dei rifiuti in Sicilia. Lo si apprende da fonti di governo, al termine della riunione.
L’ordinanza di Protezione Civile assegna poteri speciali a Musumeci per un anno.
Quello che non era riuscito a Rosario Crocetta, uomo del PD e quindi “governativo” è riuscito a Nello Musumeci. Ovviamente non risolvere la crisi dei rifiuti, ma ottenere i poteri speciali, senza fondi però. Per la soluzione aspettiamo di valutarne i risultati nel corso di questi prossimi dodici mesi.
Una bella gatta da pelare per il neo presidente. Riuscirà Nello dove hanno fallito i suoi predecessori Cuffaro e Lombardo, per citare due nomi appartenenti alla sua area politica?
Il presidente della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti della legislatura che si è conclusa a Natale, Alessandro Bratti aveva evidenziato come nel settore dei rifiuti solidi urbani in Sicilia ci sia un disordine organizzato con un «sistema ordinario della raccolta che non va da anni, c’è una situazione di emergenza non dichiarata e, dagli elementi raccolti dal 2010 a oggi non ci sono stati cambiamenti».
Tutta la regione è in forte ritardo con la raccolta differenziata. Pochissimi gli impianti di compostaggio funzionanti, senza i quali non ha neanche senso parlare di raccolta differenziata, mentre altri – come aveva denunciato da Presa Diretta in un suo ficcante servizio di qualche anno fa – marciscono abbandonati dopo essere costati complessivamente 7 milioni di euro. E così sulle autostrade siciliane è un via vai di autocompattatori che macinano centinaia di chilometri al giorno per scaricare nelle discariche della regione. Discariche tutte private – l’unica pubblica è quella di Palermo – altamente inquinanti con un volume di affari di miliardi di euro per i “signori della munnizza”.
La Sicilia ancora oggi aspetta un Piano Rifiuti definitivo e pienamente operativo, unico strumento atto a prevenire l’emergenza.
Ancora oggi l’unica strada è quella che va dal cassonetto alla discarica ma, prima o poi, ma sembra prima, le discariche saranno sature e il “sistema” rischia di collassare davvero.
Per risolvere il “problema” qualcuno pensa al costoso trasferimento in altre regioni (se non addirittura all’estero) della nostra munnizza [ipotesi prevista dal decreto Sblocca Italia, ndr] o alla sempreverde termovalorizzazione. Basti ricordare che in passato, considerando vigente il piano varato dalla giunta Lombardo, c’è chi si era spinto a ipotizzare la costruzione di impianti per bruciare il cosiddetto Css [combustibile solido secondario ricavato dalla frazione secca dei rifiuti ma, chiamala come vuoi, sempre munnizza è, ndr].
Giusto per fare un esempio a noi vicino, in provincia di Messina si paventa la realizzazione di un megaimpianto di “valorizzazione” del Css, al posto della centrale elettrica Edipower di S. Filippo del Mela, nonostante l’opposizione di cittadini e associazioni. Dalle ultime notizie tutto sarebbe appeso ad una decisione della Soprintendenza a i beni culturali. Ricordiamo che l’area in oggetto ricade nell’ambito del Piano paesaggistico che impedirebbe la realizzazione di nuovi impianti.
La costruzione di termovalorizzatori rappresenterebbe una bella opportunità di business [anche per le mafie, ndr], lo denunciano i rapporti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti; e ci sono fascicoli aperti in varie procure italiane.
L’affare di certo c’è: secondo i tecnici del settore un impianto da 65 Mw potrebbe portare nelle casse di chi lo costruisce 130 milioni l’anno grazie alle convenzioni con il Gse che dà le somme a titolo di incentivo.
Ma la domanda è, quest’ennesima dichiarazione dello stato di emergenza rifiuti, servirà a risolvere la crisi isolana?
Credo che la risposta la si possa ottenere ripercorrendo la storia delle emergenze rifiuti isolane.
Breve storia di un’ordinaria emergenza
Era il 2 dicembre 1998 quando Angelo Capodicasa, presidente della Regione Siciliana – nel mezzo di una grave crisi che si era determinata nel settore dello smaltimento dei rifiuti – scriveva al governo nazionale chiedendone l’intervento, che si concretizzava il 22 gennaio 1999 (con il decreto 2983) con la dichiarazione da parte della presidenza del Consiglio dei ministri dello stato di emergenza – a partire dal 30 giugno – con l’obiettivo di intervenire sullo stato di inadeguatezza delle discariche delegando come commissario straordinario lo stesso Capodicasa. Lo stato emergenziale, previsto originariamente fino al 31 dicembre 1999, si è poi protratto fino al 2006 con Vincenzo Leanza (2000-2001) e Salvatore Cuffaro (2001-2006) senza che però venisse rimossa nessuna delle cause che ne avevano indotto il riconoscimento.
Basta scorrere alcuni dei principali provvedimenti normativi emanati durante la fase commissariale.
Nel 2000 il Commissario straordinario, il presidente della Regione Angelo Capodicasa, incarica un comitato scientifico, guidato dal professor Aurelio Angelini, di redigere un piano per uscire dall’emergenza.
Il “Documento delle priorità degli interventi per l’emergenza rifiuti in Sicilia” (P.I.E.R.), approvato con decreto commissariale n.150 del 25 luglio 2000 [un giorno prima della fine del mandato di Capodicasa, nda], stabilendo gli interventi prioritari propedeutici al superamento del periodo transitorio dell’emergenza e al conseguimento dell’autonomia di smaltimento nell’ambito della regione, attraverso la ricognizione della dotazione impiantistica dell’isola, del flusso dei rifiuti e dei livelli di raccolta differenziata (da raggiungere), individuava e collocava nel territorio la rete impiantistica sia per la frazione umida (impianti di compostaggio) che per la frazione secca (impianti di selezione e valorizzazione).
«Nel piano avevamo scritto un’opzione molto chiara – ricorda il professor Angelini nella video-inchiesta “Costruire l’emergenza” realizzato dal regista Paolo Schembari e dal giornalista Giuseppe Croce –: “Nessun nuovo camino in Sicilia”. Il massimo che poteva accadere era che una centrale elettrica, per un quantitativo limitato di rifiuti trasformati in CDR, anziché funzionare con il gasolio, funzionava con il CDR. Noi facemmo sia il lavoro di stesura del piano, sia anche tutte le valutazioni degli scenari che bisognava andare a realizzare per rendere concreta la raccolta differenziata, compresa l’individuazione degli impianti necessari».
«C’erano anche le risorse economiche per poter finanziare la realizzazione di tutta l’impiantistica in tutta la regione: degli impianti di compostaggio, di selezione… quindi eravamo ad un passo dall’avviare il nuovo sistema».
Il piano, che ricalcava la normativa italiana ed europea non è però mai stato attuato. Il successore di Capodicasa, Vincenzo Leanza (presidente della Regione dal 26 luglio 2000 al 17 luglio 2001), revocò tutti gli atti del suo predecessore. In seguito, con l’insediamento del governo Cuffaro si cambia completamente la strategia.
L’ordinanza commissariale n.3190 del 22 marzo 2002 sostituiva la produzione del CDR [prevista dal P.I.E.R. per la frazione residuale della raccolta differenziata, nda], con la termovalorizzazione della frazione secca.
La gara per i termovalorizzatori – 5 miliardi di euro la spesa prevista – fu indetta nell’agosto 2002 e aggiudicata nel 2003 a quattro società consortili: Tifeo, Platani e Pea, controllate dal gruppo Falck-Actelios attraverso Elettroambiente, e Sicil Power, controllata da Daneco e Waste Italia. Gli impianti, progettati per una potenzialità di 2.604.410 tonnellate/anno di rifiuti “tal quale”, pari alla quantità di rifiuti prodotti nell’Isola, vengono ubicati nei Comuni di Casteltermini/Campofranco (Ag), Palermo (Bellolampo), Augusta (Sr) e Paternò (Ct).
Il progetto si arenerà nel luglio 2007 con l’annullamento della gara da parte della Corte di giustizia di Lussemburgo perché non conforme alle norme europee. Su questi termovalorizzatori c’è inoltre un’inchiesta della procura di Palermo avviata sulla scorta di un dossier giudiziario trasmesso nel 2008 dalla procura di Bolzano che indagava su un giro di tangenti. Il procedimento penale è pendente ancora in fase d’indagine. Alcune delle quattro società che erano entrate nell’affare dei primi quattro impianti sono state indagate per associazione mafiosa.
Di Cuffaro si ricorda anche lo scandalo della costituzione, nel novembre del 2002, di ben ventisette Ato, gli Ambiti territoriali ottimali che, infarciti di impiegati e consulenti molto ben pagati, negli anni avrebbero contribuito a produrre più di un miliardo di euro di debiti. In deroga alla previsione della normativa nazionale, mentre in tutta Italia venivano istituiti dai comuni attraverso i consorzi, in Sicilia – dove adesso sono commissariati in attesa di liquidazione – erano società per azioni: un escamotage per evitare i controlli e le regole di trasparenza a cui devono sottostare gli enti operanti nel settore pubblico.
Cuffaro trasformerà la struttura commissariale in Agenzia regionale per i rifiuti e le acque (Arra), gestita dal fedelissimo Felice Crosta [noto alle cronache per lo scandalo della pensione da quasi 500 mila euro all’anno, nda] che assorbe tutte le competenze che erano prima dell’assessorato al Territorio e ambiente e poi del commissario straordinario.
Raffaele Lombardo, subentrato nel 2008 al dimissionario Cuffaro – coinvolto nell’inchiesta che lo ha portato alla condanna per mafia – dopo aver inizialmente difeso i quattro megainceneritori, annulla la gara bandendone una nuova, sempre per quattro impianti. L’asta andò deserta per una clausola che imponeva al vincitore l’implicito risarcimento dell’aggiudicatario precedente. L’emergenza rifiuti, formalmente cessata nel 2006, di fatto è arrivata fino al 2009 quando Lombardo scioglie l’Arra.
Nell’aprile del 2010, in seguito al fallimento definitivo del “progetto inceneritori”, l’assessore regionale ai rifiuti Pier Carmelo Russo porta all’Assemblea regionale siciliana la legge 9/2010 in sintonia con il piano scritto nel 1999 durante il primo commissariamento. La legge, approvata a larghissima maggioranza, riorganizzava il settore prevedendo il passaggio dalle ATO alle nuove società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti (SRR).
Nel luglio 2010 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi emana un’ordinanza di protezione civile che nomina Raffaele Lombardo commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. L’ordinanza prevedeva che Lombardo potesse usufruire di ampie deroghe alle leggi compresa la stessa legge 9/2010.
Tra il 2010 e il 2012, abbandonata l’idea di realizzare i termovalorizzatori, la Regione ha autorizzato circa 11 milioni di metri cubi di discariche fondamentalmente a quattro soggetti privati, cioè 3 milioni di metri cubi alla Oikos, 3 milioni di metri cubi alla Sicula Trasporti, 2 milioni di metri cubi alla Tirrenoambiente e 3 milioni di metri cubi alla Catanzaro Costruzioni.
«Dopo due anni e mezzo dall’emanazione di questa legge e dalla dichiarazione dell’emergenza, a fine 2012, non ho timore di essere smentito – ha dichiarato l’ex dirigente generale del dipartimento della Regione siciliana delle acque e dei rifiuti Marco Lupo nella sua audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti – affermando che non era stato fatto nulla di concreto né per l’attuazione della legge, né per la realizzazione degli obiettivi previsti nella dichiarazione di emergenza.
Nessun impianto pubblico era stato realizzato, né ne era stata avviata la realizzazione, nessuna SRR era stata costituita, nessun piano d’ambito predisposto da parte di queste SRR, nessuna attività era stata realizzata su Bellolampo né per quanto attiene la messa in sicurezza delle vecchie vasche, né per quanto attiene la nuova discarica da realizzare, come previsto dall’ordinanza della Presidenza del Consiglio di dichiarazione di emergenza, tanto che dopo circa tre mesi dal mio insediamento la discarica è stata sequestrata e ne sono stato nominato custode.
Basti pensare che il punto di partenza dell’emergenza del 2010 era la redazione di una sorta di piano rifiuti che avrebbe dovuto essere realizzato durante l’emergenza. Questo piano è stato approvato dal Ministero dell’ambiente a fine 2012, praticamente con la chiusura dell’emergenza, quindi non poteva essere realizzato un piano approvato quando l’emergenza è sostanzialmente finita !».
Nel dicembre 2014 – scaduta l’ennesima proroga al 30 giugno dello stesso anno – il presidente della Regione Rosario Crocetta ha nuovamente chiesto i poteri speciali per l’emergenza rifiuti. Poteri che però gli sono stati negati con la buona motivazione che la Sicilia sono anni che commissaria il trattamento dei rifiuti con risultati fallimentari.
Un’esperienza fallimentare certificata dalla Corte dei Conti siciliana nella sua relazione sulla spesa pubblica nel periodo dal 1999 al 2005, dove sono stati spesi 209 milioni di euro, dei quali un quarto (40 milioni ) destinati al solo mantenimento burocratico della struttura commissariale e un terzo (60 milioni di euro ) sono serviti per il mantenimento delle discariche.
L’istituto del commissariamento si è dimostrato fallimentare poiché non è riuscito ad assolvere il compito per cui era nato, quello di uscire dall’emergenza e attivare un effettivo ciclo integrato dei rifiuti. L’emergenza è divenuta la condizione “naturale”, stabile e ordinaria del sistema, la proroga dei poteri straordinari ha trasformato in ordinari strumenti legislativi e compiti che avrebbero dovuto avere un carattere straordinario e temporaneo.
Un sistema che ha determinato la distruzione di ampie fette di territorio, violentate e inquinate a tal punto che a rischio oggi sono le principali falde acquifere dell’isola. La munnizza ha ingrassato mafie, burocrazie, imprenditori e politici, ha distribuito appalti e consulenze: soldi e lavoro gestiti in maniera clientelare.
Numerosi gli atti d’accusa prodotti dai vari organismi nazionali ed europei sul sistema siciliano.
Nel 2014 il rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha cristallizzato un quadro allarmante: in Sicilia il 93 per cento dei rifiuti prodotti viene buttato in discarica, mentre la raccolta differenziata è al palo, le strutture predisposte per il trattamento dei rifiuti non esistono. Oltre un decennio di poteri commissariali si è spesso risolto nell’apertura o nell’ingrandimento degli invasi. Alla fine si sono contate seicento discariche ex articolo 13, cioè siti di emergenza dove s’è scavata una buca interrando i rifiuti: col risultato di ottenere tante “bombe ecologiche”, mai bonificate.