di Palmira Mancuso – Una nota firmata dal rettore Navarra, in procinto di lasciare l’Università di Messina per dedicarsi alla campagna elettorale nel Pd di Renzi che lo ha candidato “blindando” un posto nell’
Non si è fatta attendere la reazione di Navarra, che, tuttavia, più che rispondere a Crocetta, ha pensato di imporre ai giornalisti il divieto di parlare dell’argomento. Ecco infatti cosa scrive:
“Noto con rammarico che, addirittura prima ancora dell’inizio della campagna elettorale, personaggi protagonisti del recente passato politico hanno rilasciato dichiarazioni infamanti nei miei confronti, con riferimento alla vicenda che vide coinvolto mio zio. Affermazioni ingiuriose, rilanciate da alcuni organi di stampa – dice Navarra – Premetto che la mia posizione su questo argomento è ben nota da tempo: si parla di persone morte prima della mia nascita e ogni collegamento non può che rappresentare una volgare strumentalizzazione.
Non sono, però, disposto a tollerare ulteriori attacchi su tali temi. Con estrema chiarezza, pertanto, puntualizzo che presenterò querela contro chi rilascerà dichiarazioni di questo tipo e nei confronti delle testate che daranno spazio a simili considerazioni”.
Che il più giovane rettore d’Italia (quando fu eletto nel 2013) sia figlio di uno dei più importanti “baroni” dell’ateneo messinese Salvatore, e che questi fosse il fratello dello storico capomafia corleonese Michele Navarra è argomento già sviscerato, e che evidentemente non ha creato imbarazzi a Renzi.
Che il boss corleonese sia stato assassinato il 2 agosto 1958, quindi prima che Pietro Navarra nascesse, è storia.
La storia non si cancella, e neppure viene richiesta una smentita. “La vicenda che vide coinvolto mio zio”, come la definisce Navarra, si chiama mafia e passa per l’omicidio di Placido Rizzotto. Nessun candidato può essere così ingenuo da non anticipare gli “attacchi” di avversari politici su un terreno così debole come questa ingombrante parentela. Del resto argomentare una presa di distanza è ben diverso. Peppino Impastato era figlio di un mafioso, ma le sue parole contro la mafia sono state chiare, talmente chiare che lo hanno ammazzato.
Ma i giornalisti lasciamoli fuori. I giornalisti devono poter scrivere e riportare le dichiarazioni di tutti. Omettere è disonesto, e poi perchè? Più che attaccare la stampa, sarebbe opportuno concentrarsi su una strategia di comunicazione che è partita col piede sbagliato. E poi ci viene in mente Bernanos citato da Sciascia su A futura Memoria, e preferiamo perdere dei lettori piuttosto che ingannarli.
POST SCRIPTUM
sulla vicenda è intervenuto prima l’Ordine dei Giornalisti e successivamente anche l’Assostampa di Messina