di Carmelo Catania – Un capitolo delle indagini che sono confluite nell’operazione Gotha 7 ha focalizzato l’attenzione degli inquirenti su un nuovo gruppo criminale che a partire dal 2015 mirava a prendere il controllo delle attività criminali nel territorio di Terme Vigliatore.
Il territorio di Terme Vigliatore, dove diverse sono le fiorenti attività vivaistiche, commerciali e turistiche, è da sempre considerato “territorio di caccia privilegiato” per chi è alla ricerca di facili profitti da realizzare sulle spalle del lavoro altrui.
Una rapida scorsa alle cronache giudiziarie degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e al primo decennio di questo XXI secolo, racconta di lotte sanguinose per il controllo di questo lembo di terra tra mare e colline.
Nomi quali quelli di Giuseppe Chiofalo, Mimmo Tramontana, Nunziato Siracusa, Agostino Campisi (FOTO A DESTRA), fino ad arrivare al figlio di ques’ultimo, Salvatore, oggi collaboratore di giustizia, ma che nel 2011, insieme a Carmelo Maio, ammazzava Ignazio Artino, per imporre la propria leadership sul territorio, sono tristemente noti a chi ha dovuto subire la pressione mafiosa sulla propria vita e la propria attività lavorativa.
Positivamente si riscontra però una crescente ribellione al “pizzo” una sempre più forte coscienza civica da parte dei cittadini e degli imprenditori che hanno deciso di non sottostare più all’imposizione di questa “tax mafiosa” e hanno iniziato a denunciare, a collaborare con gli inquirenti e le forze dell’ordine, ad unirsi in associazioni come “Fonte di libertà” o “Liberi tutti”, portando a clamorose operazioni come Mustra e Gotha.
Ed è propria dalla denuncia di alcuni imprenditori che hanno riferito di aver subito estorsioni che si sono sviluppate le indagini che hanno portato all’arresto di un nuovo gruppo che ambiva a prendere il controllo di Terme Vigliatore, capeggiato da Carmelo Tindaro Scordino, condannato in via definitiva per estorsione aggravata dal metodo mafioso e in carcere dal marzo del 2016.
Scordino ed i suoi volevano approfittare della disgregazione dell’organizzazione mafiosa barcellonese disarticolata dalle precedenti operazioni antimafia che avevano condotto in carcere quasi tutti i reggenti territoriali, quali Salvatore Campisi nel 2011 e poi Massimo Giardina.
Gestione di attività turistiche per mezzo di prestanome, violenze e minacce a chiunque potesse rappresentare un ostacolo per i propri interessi, estorsioni, rappresentavano il core business dell’emergente gruppo criminale.
Scorrendo le pagine dell’ordinanza firmata dal gip Monica Marino si legge della vicenda di Giuseppe Torre, un tecnico incaricato di svolgere dei controlli di conformità, rispetto al progetto redatto, su di un noto stabilimento balneare della zona che il gruppo era riuscito ad ottenere in gestione dalla società proprietaria tramite una prestanome.
Prima il ritrovamento da parte della vittima della “classica” bottiglia incendiaria, e in seguito, accingendosi a svolgere l’incarico affidato, “veniva avvicinato” dallo stesso Scordino, indicatogli sul posto come il responsabile della struttura, che lo “minacciava pesantemente, intimandogli di desistere da ogni forma di controllo”.
A ribadire “il concetto” il giorno seguente il Torre “veniva avvicinato da Francesco Salamone che, richiamando quanto accaduto il giorno prima, “gli intimava di desistere da ulteriori forme di controllo nei confronti del lido in questione, minacciandolo, implicitamente, di gravi ritorsioni”.
Temendo per la propria incolumità, perché a conoscenza della caratura criminale dei soggetti che l’avevano minacciato, decideva quindi di lasciar perdere i controlli sul lido e, successivamente, di recedere dall’incarico affidato dalla società proprietaria.
Le indagini hanno dimostrato che il lido in questione è stato, di fatto, gestito da Scordino e dai suoi accoliti.
Scrive il gip: “Scordino Carmelo, spalleggiato da Piccolo Salvatore, si presentava quale responsabile della struttura”, allorquando Torre Giuseppe si apprestava ad eseguire i controlli delegatigli; non si vede quale ragione i due avessero per intimidire il Torre e dissuaderlo dall’effettuare le verifiche di cui era stato incaricato, se non quella di tutelare i propri interessi economici, cioè gli investimenti nella gestione del lido de quo. Era poi la stessa Francesca Cannuli, moglie dello Scordino, ad ammettere, nel corso di una conversazione intercettata, che il marito aveva investito somme consistenti di denaro nella gestione del lido”.
Che l’attività fosse intestata ad una testa di legno, la Cannuli lo confermava durante un colloquio in carcere con lo Scordino. I carabinieri di Barcellona inoltre, nel corso di alcuni controlli, hanno riscontrato la presenza nel lido di Scordino, che si qualificava come gestore della struttura, e del suo gruppo.
E infine c’è la vicenda della tentata estorsione a taluni imprenditori operanti nel settore florovivaistico, che il gruppo però non è riuscito a portare a compimento.
Non si è trattato della “canonica” somma da corrispondere a Natale, Pasqua e Ferragosto, ma di un’operazione molto più complessa, come l’hanno definita gli inquirenti.
In pratica il gruppo dello Scordino si stava organizzando per imporre ai vivaisti del territorio un servizio di “guardiania”.
Un servizio che però non avrebbe dovuto essere svolto sul serio, ma doveva servire solo da facciata, per camuffare una dazione illecita di denaro da parte dei vivaisti.
L’imposizione del servizio di guardiania, inoltre, avrebbe consentito al sodalizio di operare nel campo del recupero crediti, evitando il rischio di essere incriminati per estorsione, inducendo i debitori morosi ad avvalersi di questo servizio fittizio, in luogo del pagamento diretto di somme dovute a terzi.
Oltre al capo indiscusso Scordino, il gruppo era composto da Salvatore Piccolo, il suo factotum, per quanto attiene soprattutto la gestione del lido, costituente una vera e propria base logistica per gli indagati.
Un ruolo ben definito lo hanno avuto poi Francesca Cannuli, incaricata di riferire al marito detenuto le questioni di interesse del clan, ricevendo le necessarie indicazioni per l’operatività criminale del sodalizio che poi venivano comunicate dalla stessa Cannuli al Piccolo. E Sergio Spada, la cui piena partecipazione al sodalizio criminale emerge dalle numerose conversazioni intercettate fra cui quella con il figlio di Scordino, Santino. I due discutevano degli equilibri in atto nei vari gruppi criminali, mostrandosi fiduciosi che lo Scordino, una volta scarcerato, avrebbe ripreso il controllo della zona, ma anche della necessità di muoversi con cautela, perché azioni eclatanti sarebbero state inevitabilmente addebitate allo Scardino se pur detenuto.
Infine c’è Francesco Salamone, noto come Carmelo, ex consigliere comunale di Terme Vigliatore coinvolto nell’operazione Triade, l’inchiesta antimafia della Dda di Messina su un vasto giro di hashish e marijuana.
“Oltre ad essere gravemente indiziato di due delitti commessi con metodo mafioso, – scrive il gip – il Salamone ha di certo contribuito al raggiungimento degli scopi dell’associazione, ponendo a disposizione dei sodali anche il ruolo di consigliere comunale del Comune di Terme Vigliatore” e le sue e le sue entrature nella società proprietaria del lido gestito di fatto dal gruppo criminale, adoperandosi anche per la soluzione di problematiche urbanistiche e in generale, amministrative. (ha collaborato Palmira Mancuso)