di Marina Pagliaro – Non un laboratorio teatrale soltanto ma la dimostrazione, concreta e tangibile, che il teatro può diventare salvezza e riscatto quando accoglie tutti e a tutti si rivolge. “Sulle tracce di Romeo e Giulietta” non è stato soltanto un laboratorio teatrale e cinematografico voluto dall’associazione culturale DAF insieme all’Ufficio Servizio Sociale Messina e con la collaborazione della Caritas di Messina.
Coinvolgendo, infatti, 10 ragazzi, minorenni e maggiorenni, già colpevoli di diversi reati, il progetto, ideato e realizzato da Angelo Campolo, con l’aiuto di Patrizia Ajello, è diventato un momento di formazione fondamentale per chi, il teatro, non lo ha mai conosciuto ma lo ha costruito, nel corso di due settimane di laboratorio, su di sé, andando oltre l’esperienza del crimine e del giudizio, verso un messaggio di libertà e giustizia.
«La scelta di “Romeo e Giulietta” di Shakespeare è stata voluta per sottolineare che oltre la storia d’amore c’è la storia di violenza – ha spiegato Angelo Campolo – L’obiettivo era far diventare bambini, con il teatro, dei ragazzi che già si sentono adulti. La difficoltà per loro è stata imparare la mimica teatrale ma soprattutto confrontarsi con un testo poetico volutamente non riadattato e con tutta la gestualità artistica che non è stata abbassata di livello ma, anzi, con cui si sono riusciti a confrontare, nonostante le resistenze iniziali».
Le prove e lo spettacolo finale del laboratorio sono andate in scena nei locali della Caritas. Ad essere stata selezionata la I parte dell’opera shakespeariana, meno nota al pubblico, ma densa di significato. Il confronto fra le guardie dei Montecchi e dei Capuleti, infatti, è stato il modo per interrogarsi non soltanto sulla violenza, ma, soprattutto, sulla giustizia. Immaginando Romeo e Giulietta già morti, secondo la rielaborazione di Angelo Campolo, resta da chiedersi, soltanto, chi ha le responsabilità della loro fine e in nome di chi si è perpetrata tanta violenza. Metafora, questa, che rimbalza immediatamente sulle responsabilità di una società che è colpevole davanti a minorenni che hanno già conosciuto il reato e il carcere non soltanto per colpa loro.
«A 11 anni eravamo buoni – racconta Tonino – Ma quando spacci o fai una rapina e non ti succede niente pensi di poter fare qualsiasi cosa. Quando poi, però, ti scoprono capisci che sbagli. Sai che tua mamma non se lo immagina di avere un figlio così. Capisci che conta davvero soltanto il bene che ti vogliono le persone».
La DAF si è già distinta per l’impegno sociale attraverso il teatro in diversi ambiti. Oltre al progetto conclusosi ieri, infatti, l’associazione sta lavorando anche per l’integrazione sociale e culturale dei migranti. «L’innovazione del laboratorio con i minori è stata l’aver coinvolto i ragazzi non in carcere ma al di fuori – ha spiegato Giuseppe Ministeri, presidente della Daf – Proprio perché non vogliamo che questo sia soltanto un unico appuntamento da Gennaio, insieme con il Garante nazionale per l’adolescenza e l’infanzia, riproporremo ancora lo stesso laboratorio. Sicuramente è stato significativo per noi e per i giovani l’averlo realizzato alla Caritas. Ancora una volta abbiamo dimostrato che l’arte e il teatro possono diventare fonte di reintegrazione sociale e di speranza».
Oltre che a Messina anche a Patti è stato realizzato da Simone Corso e Francesco Natoli lo stesso laboratorio, all’Ex convento di S. Francesco in collaborazione con il Comune. «Se si vuole davvero far compiere un percorso di riscatto a questi giovani bisogna dar loro la possibilità di essere liberi dall’errore per il passato – ha detto Maria Baronello, Direttore pro tempora dell’USSM – Sono ragazzi semplici, con vite avventurose e difficoltà che devono superare. La giustizia può andare oltre la punizione se è occasione di cambiamento, come in questo caso».