di Palmira Mancuso – “Biagio ti dico che a Messina non si può fare più niente…è saltato praticamente il… sono un pugno di pazzi scatenati…sono pericolosissimi”. Così il noto avvocato Andrea Lo Castro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’Operazione Beta, che ha colpito i colletti bianchi del clan Santapaola in riva allo Stretto, mette in guardia il geometra milazzese Biagio Grasso, sulla “pericolosità” del magistrato che in quegli ultimi mesi (siamo nel 2015) ha portato a segno l’operazione Teckno, che ha fatto saltare il banco del Consorzio Autostrade Siciliane, svelando truffe nella gestione degli incentivi progettuali.
Quel magistrato, di cui Grasso, in un’altra conversazione con lo stesso sodale dice, “guarda che faccia che ha” commentando il suo intervento durante una conferenza stampa, è il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita.
Un magistrato che fa paura ai centri di potere messinesi, un magistrato che si, ha avuto quel “grano di follia” necessario per investigare su quel sottile filo che separa la cosa pubblica dalla cosa nostra, la mafia e il potere politico, la faccia pulita degli affari sporchi.
Ed ecco che la notizia della proposta unanime da parte del Consiglio Superiore della Magistratura di spostare Sebastiano Ardita a Catania (non in virtù di una promozione, ma con un trasferimento orizzontale inatteso) ha il sapore di logiche di cui spesso sentiamo parlare solo in occasione di commemorazioni in bianco e nero.
Malgrado non abbia ancora maturato gli otto anni della prevista “scadenza” in una stessa Procura, il suo trasferimento appare sui giornali come già fatto, nonostante sia ancora necessario il voto del plenum del Csm e il visto del ministro della giustizia renzusconiano Andrea Orlando.
Ed allora perchè non ricordare quanto lavoro è stato fatto a Messina, a cominciare da quei filoni d’indagine sui “Corsi d’oro”, che hanno messo a soqquadro il mondo della formazione professionale in Sicilia, coinvolgendo la galassia politico-familiare dell’on. Francantonio Genovese. Perchè non sottolineare che la permanenza dell’aggiunto Ardita sullo Stretto è ancora necessaria considerando il suo essere riferimento anche per i colleghi della procura peloritana in alcune inchieste-chiave per la storia della città: dai rapporti tra ateneo e mafia alla gestione dei rifiuti con Messinambiente, dalla Matassa sulla compravendita di voti, all’ operazione “Beta” che ha aperto una finestra su un panorama ancora non del tutto esplorato.
Se l’attuale procuratore aggiunto di Messina è pronto a prendere il posto lasciato vacante da Michelangelo Patanè, che è andato in pensione già parecchi mesi orsono, con lo spirito di servizio e rispetto delle regole che lo contraddistinguono, di certo non è pronta Messina a fare a meno della sua professionalità.
Non è pronta quella parte di cittadinanza che oggi, a sentire affaristi dire “che a Messina non si può fare più niente” ha come un pugno nello stomaco. Perchè se il magistrato sa di essere per vocazione “un uomo solo”, la società impegnata in un’ antimafia non commemorativa ha il dovere di non lasciare che lo sia davvero.