Uno degli assassini di Livatino scrive dal carcere, “io non mi perdono”

A ventisette anni dalla morte del giudice Rosario Livatino, il comune di Palma di Montechiaro ha scelto il film “Spes contra Spem – Liberi Dentro” di Ambrogio Crespi prodotto da Index Production in collaborazione con Nessuno Tocchi Caino, per ricordare la figura del “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990.

Un film che raccoglie le testimonianze di nove detenuti condannati all’ergastolo ostativo, persone che hanno riconosciuto le loro terribili colpe e hanno manifestato con forza il definitivo ripudio di ogni scelta criminale. Tra i protagonisti del film, girato nel cercare di Opera a Milano, c’è anche Gaetano Puzzangaro, cittadino di Palma, che fece parte del commando che tolse la vita al magistrato.

Proprio lui ha scritto una lettera, che è stata letta durante l’evento che si è svolto ieri e che vi riproponiamo integralmente.

Sono Gaetano Puzzangaro, ergastolano ostativo, detenuto da oltre 25 anni. Ho partecipato all’uccisione del Giudice Rosario Livatino. Ho visto il videomessaggio del Sindaco Castellino in una stanza del carcere di Opera in rigoroso silenzio e con il cuore in tumulto.

La commemorazione a Palma della morte del Giudice Rosario Livatino, mi commuove e mi fa tremare di emozione. Ormai da anni ritenevo di non fare più parte della comunità palmese perché sapevo di averla ferita con le mie sciagurate scelte, nonostante sia la mia terra, dove abitano i miei affetti più cari e dove vivono ancora tutti i miei ricordi. Oggi sarebbe comodo non sentirsi cittadino palmese per non affrontare le responsabilità con cui mi resi partecipe di una stagione in cui si erano persi l’etica, il senso profondo della vita e l’amore per la propria città.

Invece devo avere la forza di farmi carico di quanto successe 27 anni fa. Ho il dovere morale di farlo, poiché gli errori, anche i più atroci, vanno riconosciuti anche se recano un dolore che dilania e descrivono il fallimento di una vita, la mia.

Il rimorso, così come i sensi di colpa e la sofferenza mi accompagnano e fanno parte della mia esistenza da 27 anni. Tuttavia, credo che lo struggimento che nasce dalla comprensione dell’errore e dell’orrore, abbia in sé il seme della rinascita.

Ho il dovere morale di condannare ogni atto criminale mettendoci la faccia, in nome di chi è morto per la legalità, dei familiari delle vittime, della mia Sicilia martoriata, dei miei familiari che nonostante tutto mi sono rimasti accanto.

Ho il dovere morale di espormi come esempio fallimentare per tutti quei giovani che pensano di trovare nella criminalità organizzata eroismo, successo, soldi facili, rispetto. Vi prego, dite NO a ogni forma di condivisione criminale, perché significa accettare ogni disgrazia, ogni dolore, ogni morte, non solo quella degli altri ma anche la propria. Scegliete, invece, la gioia di avere una moglie, di gioire con lei dell’amore, della nascita di un figlio, quando muoverà i suoi primi passi e vi regalerà un sorriso. Scegliete di mettere in gioco la parte sana di voi stessi a beneficio delle persone che vi stanno vicino e per la comunità in cui vivete, poiché, mettendo a disposizione la parte migliore di voi, potrete capire il significato dei valori per cui vale la pena di vivere e perfino sacrificare il vostro respiro per ciò che amate.

Nel nome, nel ricordo del Giudice Livatino, ucciso il 21 settembre di 27 anni fa: Parafrasando Primo Levi: “Forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. Mi spiego: “comprendere” un proponimento o un comportamento umano significa (anche etimologicamente) contenerlo, contenerne l’autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui.

…..Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario…” Conoscere significa ricordare, significa commemorare chi ha perso la vita mentre lavorava con lo scopo di rendere la società priva di sopraffazioni e di violenze. Io non mi perdono. Il Giudice Livatino lavorava per tutti quei giovani che si erano persi nell’abbraccio mortale della criminalità. Lavorava, quindi, anche per me, per vedermi libero e vivo. Io non l’avevo capito. Riposa in pace, Giudice.

Gaetano Puzzangaro

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