di Palmira Mancuso – I carabinieri in alta uniforme si mescolano tra le carovane di fedeli che da molti paesi della Calabria hanno raggiunto Polsi per celebrare come si fa da secoli la Madonna della Montagna, nel cuore dell’Aspromonte. Quest’anno non è come i precendenti. Telecamere, forze speciali, un nuovo rettore del Santuario, Don Saraco in passato più volte reso oggetto di minacce e di intimidazioni durante lo svolgimento del suo ministero e la presenza delle più alte istituzioni calabresi: dal presidente della Regione Mario Oliveiro al Prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino, dal Tenente colonnello Pasqualino Toscani (già destinato ad un altro incarico, dopo due anni alla guida del gruppo carabinieri di Locri), al commissario del Comune di San Luca Salvatore Gullì, messinese di Saponara.
Dopo 19 anni, è la prima festa a Polsi senza don Pino Strangio, finito nel mezzo di un’indagine della Procura di Reggio Calabria, e che si è dimesso, per poter seguire gli sviluppi della controversa vicenda processuale che lo vede accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel piccolo borgo di Polsi si respira la tensione di un braccio di ferro: da una parte la vecchia guardia, che non partecipa alle funzioni ma osserva “tutti questi sbirri che pure i cani in Chiesa hanno fatto entrare”, dall’altro i fedeli che sempre hanno lottato per dare alla festa una connotazione diversa da quella pesante eredità mafiosa, e che ora sono attorno al Vescovo e al nuovo rettore del Santuario.
“Come Chiesa – ha detto mons. Oliva – stiamo cercando di fare del nostro meglio per tenere lontana la ‘ndrangheta. Abbiamo scelto la via del dialogo con le istituzioni civili per perseguire questo obiettivo e non ci tiriamo indietro per quanto ci compete sul piano formativo. Ed in questo sento anche il bisogno di ringraziare i vescovi che mi hanno preceduto. Il nostro è stato un territorio macchiato di sangue. Non si può dimenticare la situazione della Locride al tempo dei sequestri, delle faide. Da allora tanto è cambiato, grazie anche all’azione delle forze dell’ordine che hanno pagato un grande tributo di sangue. Così come l’ha pagato la Chiesa. Il mio pensiero va a don Giuseppe Giovinazzo vice-superiore del santuario di Polsi trucidato in un agguato di stampo maoso l’1 giugno 1989″.
Il problema più delicato è liberare Polsi dal suo isolamento: l’impraticabilità del luogo infatti, ha favorito la ‘ndragheta che lo ha usato come luogo d’incontro, proprio in concomitanza della festa, delle cosche per decidere di affari e strategie. Rispetto a qualche secolo fa (a parte gli effetti della globalizzazione sui souvenir) le cose non sono cambiate: nessuna linea telefonica, strade polverose e mulattiere pronte a franare.
“Una cosa mi sembra scontata – ha detto Mons. Oliva – l’isolamento di un territorio favorisce le attività della criminalità. La storia insegna che laddove lo Stato non fa sentire la sua presenza attraverso interventi importanti, servizi ed opere di sviluppo del territorio, la maa è sempre presente e comanda al suo posto. Allora la prima urgenza (e su questo mi sembra di cogliere una convergenza tra le istituzioni, dopo la visita al santuario del ministro dell’interno Marco Minniti) è liberare Polsi dal suo stato di isolamento. Dando priorità alla realizzazione di una nuova strada o alla sistemazione al meglio di quelle esistenti attraverso un intervento importante”.
A frequentare da secoli il Santuario della Madonna della Montagna anche i messinesi, provenienti in particolare da Ganzirri e Torre Faro, che proprio a Polsi hanno una casa per i pellegrini: un culto arrivato sullo Stretto attraverso i pescatori che andavano a San Luca per comprare i legni delle feluche per la caccia a pescespada. (foto e video pal.ma.)