di Palmira Mancuso – Non uno “spettacolo” piuttosto un incontro: con una persona, con la sua storia, con il coraggio di una madre che improvvisamente si ritrova ad essere “partorita” dal suo stesso figlio. Peppino Impastato: un frutto che la mafia ha stradicato da un albero, che è Felicia Bartolotta. Non una “pasionaria” ma una donna normale, generosa, che ha trasformato il dolore in amore.
Poteva chiudersi sul suo stesso ventre violato dall’uccisione del figlio, invece è in quel momento in cui le “tagliarono il petto” che amò tutti, le “tagliarono i piedi” che cominciò a volare.
Lucia Sardo attraversa in punta di piedi la platea dello spazio nella cittadella fieristica dove fino al 30 agosto si esibiranno attori e musicisti, richiama la concentrazione dei presenti col suono di una campana tibetana, creando un’atmosfera temporale sospesa: perchè il ritmo sarà quello dei sentimenti, delle emozioni, del ricordo, della riflessione, dell’anima.
Il dolore sarà solo uno strumento per acquisire consapevolezza, per “aprire gli occhi” e rivendicare un risarcimento, perchè come diceva Felicia “il perdono lo può dare solo Dio”.
“La mafia non si sconfigge con le pistole, ma con la cultura”: ci crede Lucia Sardo che con questo spettacolo “La madre dei ragazzi” porta in giro in tutta Italia, un grande, potente, coraggioso omaggio a Felicia Bartolotta, moglie di un mafioso e madre di un militante antimafioso ucciso con una carica di tritolo dalla mafia di Cinisi, guidata da Tano Badalamenti che lei fece condannare all’ergastolo. Come un’altra madre prima di lei, quella di Turiddu Carnevale, implacabile accusatrice degli assassini mafiosi di suo figlio.
L’attrice, dalla forte e indomita presenza scenica, restituisce al pubblico l’incontro che lei stessa ebbe con Felicia, quando interpretò la sua vita nel film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana: uno di quegli incontri che ti sconvolgono l’esistenza, che ti inducono a fare promesse, come quella solenne di far conoscere la storia di Peppino quando non ci sarebbe stata più lei a raccontarla nel suo siciliano stretto alle migliaia di giovani che da tutta Europa si spingevano fino alla piccola casa di Cinisi.
Il calore di quell’abbraccio materno, destinato ormai all’umanità intera, ai mille figli partoriti quando le “tagliarono la pancia”, è arrivato come un piccolo miracolo alla fine dello spettacolo: un groppo alla gola che vale una promessa di riscatto, un sussulto di dignità, un no alla mafia vivo e presente.