di Carmelo Catania – Melo Bisognano, ex capo dei mazzarroti, costola della sanguinaria famiglia dei barcellonesi in provincia di Messina, il 18 maggio del 2016 era stato arrestato nel corso dell’operazione “Vecchia maniera” per una serie di ipotesi di reato. A Bisognano venivano contestati i reati di intestazione fittizia di beni, una tentata estorsione e soprattutto di aver stretto, tramite Angelo Lorisco, suo uomo di fiducia un pactum sceleris con l’imprenditore Tindaro Marino, caratterizzato da uno scambio di prestazioni con reciproco vantaggio.
Bisognano, come collaboratore di giustizia, si era impegnato a rilasciare dichiarazioni più favorevoli nei confronti di Marino, rispetto a quelle in precedenza rese nell’ambito dei vari procedimenti che lo riguardavano e Marino lo avrebbe aiutato a rilanciare l’attività di un’azienda, la Ldm Costruzioni Srl, costituita dallo stesso Bisognano attraverso dei prestanome nel 2013.
Il processo “Vecchia maniera” e il pactum sceleris
Per l’intestazione fittizia di beni e la tentata estorsione a Giuseppe Torre, titolare della Torre Srl (secondo l’accusa Bisognano avrebbe costretto il Torre a cedergli dei lavori minacciandolo di coinvolgere suoi familiari rilasciando dichiarazioni accusatorie) Bisognano è già sotto processo davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
L’esistenza del “patto” e la sua attuazione è stata attestata dalle intercettazioni telefoniche e ambientali tra Bisognano e Marino.
È bastato poi mettere a confronto il verbale riassuntivo delle dichiarazioni rese dall’ex capo dei mazzarroti il 30 settembre 2015 – in presenza dei suoi avvocati, Mariella Cicero e Fabio Repici e di Salvatore Silvestro, difensore di Marino, – e i verbali di quelle rese in precedenza da Bisognano che avevano contribuito alla condanna in appello dell’imprenditore e appurarne la difformità.
Il Gip Monica Marino appurato che Bisognano ha trattato con Marino per rilasciare dichiarazioni a quest’ultimo più favorevoli in vista del giudizio della Cassazione per concorso esterno alla mafia e di quello della Corte d’appello diretto al sequestro di tutti i beni, e che queste dichiarazioni di favore le ha di seguito fatte, ha così ordinato alla Procura, rappresentata dai sostituti Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio che invece avevano chiesto l’archiviazione, di disporre l’imputazione coatta nei confronti di Bisognano, Marino e Lorisco.
“Conclusivamente ‒ ha scritto il Gip Marino ‒ può senz’altro sostenersi che Carmelo Bisognano, in ossequio ad accordi presi in precedenza con Tindaro Marino, abbia rilasciato false dichiarazioni sullo stesso Marino, in quanto oggettivamente diverse da quelle rese in precedenza, assolutamente più favorevoli in quanto ne attenuano non poco la sua responsabilità penale e ciò al fine di conseguire un’utilità e un vantaggio di non poco rilievo: poter iniziare a svolgere una nuova e lucrosa attività imprenditoriale al riparo da occhi indiscreti”.
Il nuovo reato di cui Bisognano dovrà rispondere è di “False dichiarazioni al difensore rilasciate nell’ambito delle investigazioni difensive”.
Le ammissioni di Bisognano
Il collaboratore infedele interrogato, un mese dopo gli arresti, da Di Giorgio e Cavallo ha ammesso di “aver fatto il patto con Marino e che questi in cambio ha acconsentito entrare come socio occulto nella società Ldm Costruzioni Srl dietro la condizione che facessi nuove dichiarazioni sul suo conto. È stato un grave errore e una violazione delle regole che mi imponeva il programma di protezione. Tuttavia, non ho detto il falso né ho cambiato versione rispetto a quanto avessi dichiarato prima”.
Quindi, secondo Bisognano, egli ha reso delle dichiarazioni favorevoli davanti all’avvocato Silvestro ma non in aula, ma Silvestro le deposita in Cassazione e Corte d’appello.
Il filone romano di “Vecchia maniera”
In “Vecchia maniera” è emerso anche che Bisognano grazie alla complicità degli uomini della scorta si muoveva a suo piacimento in località protetta, incontrando persone di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) e altri collaboratori di giustizia. E soprattutto aveva accesso alla banca data della polizia.
La Procura di Roma, per quest’ultima condotta, lo scorso 7 luglio ha chiesto e ottenuto gli arresti in carcere, a Rebibbia, per Bisognano, mentre ai domiciliari sono finiti due carabinieri della sua scorta, Enrico Abbina e Diego Pistelli. I due militari infedeli controllavano, con accessi abusivi al sistema informatico del Comando provinciale dei carabinieri di Rieti, per conto del collaboratore proprio Tindaro Marino.
Secondo il giudice per le indagini preliminari, Chiara Gallo, i tre “avevano trasformato i benefici e le garanzie di cui gode un collaboratore di giustizia in occasioni criminogene consentendo a Bisognano di proseguire nel proprio percorso criminale nonostante le limitazioni”.
Invece di rispettare il codice di comportamento che impone una distanza fra sé e la persona da tutelare, Abbina e Pistelli si prestavano a spalleggiarlo, evitando di intromettersi durante conversazioni sospette, incontri riservati e missioni dubbie. Ma, soprattutto, fornendogli informazioni riservate.
“Dalle intercettazioni emergeva ‒ si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Rieti Chiara Gallo ‒ come Bisognano godesse di assoluta libertà di movimento in ragione dei rapporti particolarmente confidenziali intrattenuti con i componenti della scorta”.
Se i carabinieri l’abbiano fatto per soldi o altri favori non è ancora chiaro mentre si sa che ad aiutarli si sarebbe prestato anche un terzo collega, ora indagato, Domenico Tagliente.