di Gianfranco Pensavalli – ll tentativo di eliminare l’avvocato Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, nasce dal fatto che, persino alla mafia militare, appare impossibile puntare le armi contro il vero obiettivo: Beppe Lumia. E per ” leggere” meglio gli avvisi di queste ore per atti irripetibili, è il caso di tornare indietro, a poco più di due anni fa, a l’ Ivomec che invade e avvelena i Nebrodi e all’ operazione Trasparenza e Legalità.
Il Governo regionale, guidato dal presidente Crocetta, affidò il parco alla responsabilità di Antoci, personalità di elevata qualità morale, che ha avviato un’azione di rottura col passato, spesso caratterizzato da pratiche clientelari ed affaristico-mafiose. Antoci ed il presidente Crocetta vennero raggiunti da minacce di morte di tipico stampo mafioso, proprio a voler sottolineare la dirompenza dell’azione avviata dall’ente parco dei Nebrodi; l’intimidazione era contenuta in una lettera recapitata proprio negli uffici del parco dei Nebrodi ed indirizzata al presidente Antoci: “Ne avete per poco, tu e Crocetta morirete scannati”.
Ecco così che esponenti di spicco del clan mafioso dei tortoriciani, oltre ai Galati-Giordano, anche i Bontempo Scavo ed i fratelli Calogero e Vincenzino Mignacca, latitanti dal 2008 nel novembre 2013 grazie ad un blitz dei carabinieri del Gis (gruppo di intervento speciale), tra Lentini e Francofonte, durante il quale il secondo, pur di non consegnarsi allo Stato, si è suicidato, cominciano a rivedere certi disegni “operativi”, nati dalla necessità di respingere gli attacchi dei barcellonesi.
Dalla relazione annuale sulle attività svolte dal procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia si doveva prendere atto che nel bilanciamento della mafia dei Nebrodi, sul versante catanese, si era avuto l’arresto dei brontesi Claudio Reale, Antonino Sciacca, Signorino Sciacca e Antonino Triscari nell’operazione “Tunnel”.
Ma c’è un altro dettaglio, ovvero Cosa nostra nella provincia di Enna. Che da sempre è stata condizionata dall’incisiva influenza delle organizzazioni mafiose radicate nei più importanti centri limitrofi (nel caso di specie Cosa nostra catanese) che hanno da sempre considerato il territorio ennese di interesse, non tanto per le potenzialità produttive ed economiche presenti, quanto per la necessità di mantenere una “zona cuscinetto” utile alle diverse esigenze, soprattutto di natura logistica proprie delle organizzazioni criminali dell’isola.
In particolare, per le componenti criminali radicate nei comuni di Troina e Cerami si individuava il referente di Cosa nostra a Troina; questi, pur risiedendo nel centro, risultava legato alla famiglia mafiosa catanese riferibile alla “Catina” (clan catanese di Cosa nostra particolarmente attivo nel comune di Aci Catena).
Al Comune di Troina apparteneva la gestione dei boschi, circa 4.200 ettari, che sembra aver da sempre rappresentato un punto dolente per la tutela della legalità nell’ambito della gestione della cosa pubblica, posto che per l’ubicazione dei territori in luoghi lontani dal centro abitato, o per la loro vicinanza a paesi tradizionalmente legati alla mafia dei Nebrodi (Tortorici, Cesarò, San Fratello, Maniace, Montalbano Elicona, Castell’Umberto) la presenza, all’interno di tali aree, è stata costantemente riservata ad allevatori e famiglie legate, inevitabilmente, ad ambienti della mafia messinese, in particolare tortoriciana.
Le pressioni provenienti dalle famiglie degli allevatori insediate nei boschi del comune di Troina non si sono solo limitate alla scelta del contraente, ma si sono, di volta in volta, spinte anche nel senso di determinare le condizioni economiche loro applicate, sia dal punto di vista del canone di affitto da corrispondere sia dal punto di vista della durata.
Da un’ attenta analisi sequenziale degli atti emanati dal consiglio di amministrazione e dal direttore tecnico dell’azienda speciale silvo-pastorale di Troina, nonché dal vaglio di altri riscontri di diversa natura, sembra emergere un sodalizio criminale legato alla “mafia dei Nebrodi”, che, quasi approfittando del contesto politico favorevole e constatando gli ingenti interessi economici, sembrerebbe interessato non solo alla gestione dell’immenso patrimonio boschivo di cui è proprietario il Comune di Troina ma, addirittura, parrebbe aver avviato una progressiva penetrazione nell’apparato istituzionale del Comune.
A tal proposito è opportuno ricordare che in occasione delle elezioni amministrative del 2008, il gruppo prestò particolare impegno per far eleggere un consigliere comunale, Giuseppe Costanzo, figlio di Salvatore Costanzo detto “U spaddatu”, pregiudicato e attualmente sotto inchiesta per truffa all’AGEA, titolare di un contratto di affitto di circa 700 ettari con l’azienda, nonché personalità di spicco della malavita rurale troinese legata alla cosca di Bronte del boss Salvatore Catania detto “Turi”, pluripregiudicato e condannato per associazione mafiosa, già in regime di detenzione domiciliare a Cesarò ed afferente alla famiglia Santapaola (in particolare in contatto in passato con il reggente di Cosa nostra catanese Enzo Aiello e con il latitante oggi pentito Santo La Causa), di cui è stato, fino a non molto tempo fa, referente a Troina. Catania significa Giovanni e Giuseppe Pruiti e pure Carmelo Giacuppo Triscari. Micidiale triangolo che solo pochi mesi fa la Dia di Catania ha messo fuori gioco.
Parimenti il sodalizio, nel tentativo di gestire direttamente, attraverso propri esponenti ed uomini di fiducia, i contratti di locazione dell’azienda, aveva offerto “supporto” al dottor Giuseppe Militello, anch’egli legato ai medesimi ambienti criminosi e in particolare a Salvatore Costanzo ed alla famiglia Conti Taguali di Tortorici (Batanesi), allorquando l’azienda silvo-pastorale emanò un bando per la selezione della figura di direttore tecnico.
Sembrerebbe che proprio con l’aiuto di tali personaggi, Militello sia riuscito a produrre una serie di false attestazioni che lo portarono a manipolare il concorso ed a ricoprire il ruolo dirigenziale all’interno dell’azienda per meglio assecondare, come evidenziato, le logiche particolaristiche e gli interessi economici delle famiglie anziché quelle dell’ente di gestione (procedimento penale numero 971/20012 R.G. presso il Tribunale di Enna che vede Giuseppe Militello imputato del reato di falso in atto pubblico).
Risulta sintomatica l’azione criminosa della famiglia Conti Taguali (Batanesi di Tortorici), poiché sembra abbia stipulato un contratto d’affitto con l’azienda di circa 1.200 ettari. Tra i firmatari dei contratti d’affitto compaiono diversi esponenti legati alla cosca tortoriciana dei Bontempo Scavo, il cui capo, Cesare Bontempo Scavo, attualmente detenuto in carcere, intrattiene legami parentali con Giuseppe Conti Taguali detto “u zzu Pippinu”, firmatario dei contratti. Lo stesso Conti Taguali è cognato del pluripregiudicato Sebastiano Pruiti, già personalità di spicco del clan dei Batanesi di Tortorici, ucciso in un agguato mafioso nel territorio di Troina nel 1995.
Gaetano Conti Taguali, figlio di Giuseppe, anch’egli pregiudicato e firmatario dei contratti di affitto relativi a terreni dell’azienda, in passato si è reso protagonista di estorsioni e furti nelle campagne troinesi. In particolare, nel giugno 2012 ha tentato un’ estorsione ad un’ impresa edile che stava realizzando lavori nella strada statale 575.
Firmataria del contratto è anche Melissa Miracolo, anch’ella appartenente ad un’altra famiglia legata alla mafia tortoriciana dei Batanesi, moglie di Signorino Conti Taguali, primogenito di Giuseppe, affiliato al clan Bontempo Scavo e arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni nell’ambito dell’operazione “Rinascita”.
Con l’elezione dell’amministrazione comunale di Troina, guidata dal sindaco Fabio Venezia ( oggi sotto scorta come Antoci, ndr) , si è aperta una nuova stagione di legalità. Così sono venuti a mancare gli “appoggi” politici che garantivano, attraverso un’ attenta ed oculata copertura, il perseguimento dei lucrosi interessi economici e, inoltre, sono stati spezzati i legami con l’apparato istituzionale dell’ente.
Tutto gira intorno ai 4.200 ettari di territori boschivi dell’azienda silvo-pastorale, che permettono agli allevatori di guadagnare circa 500 euro netti all’anno, ogni ettaro detenuto in affitto, a fronte di un canone di 50 euro, garantendo così guadagni che spesso competono con i più redditizi affari di droga. Basti pensare che ben 1.200 ettari di terreni boschivi sono in affitto a Giuseppe Foti Belligambi, noto pregiudicato cesarese, che controlla il territorio dei pascoli e del bestiame da Cesarò a San Fratello, Sant’Agata di Militello, Alcara Li Fusi, Militello Rosmarino, Acquedolci e Caronia; quest’ultimo è l’astro nascente di una nuova organizzazione criminale che ha di recente chiuso un accordo con i Batanesi, ormai considerata la nuova famiglia tortoriciana, per il controllo del territorio, previa corresponsione di un corrispettivo.
Foti Belligambi è colui che ha messo gli occhi sui 400 ettari boschivi del parco dei Nebrodi. Si tratta di un soggetto spregiudicato che si avvale della manovalanza di San Fratello. Ma le lettere del mosaico sono legate a un processo a Catania, “gatto selvatico”, e all’operazione dello scorso maggio denominata “Senza Tregua”. Atti propedeutici per cercare di capire chi vuole morto Antoci.
Con tanto di teatrale “Cu fu?” dei vertici siciliani di Cosa Nostra, sempre più imbarazzati dalla crescita di tortoriciani e brontesi, da cui “dipende” Cesarò.