di Gianfranco Pensavalli – E’ un po’ come sui campi di calcio quando gli arbitri fanno valutazioni diverse sui calci di rigore: non c’è un’uninamità nelle decisioni. Ed è quel che è accaduto ieri a Messina con le decisioni collegiali per Corsi d’Oro Uno. Di tenore lontanissimo da quel che pronunziò la collegiale presieduta da Silvana Grasso su Corsi d’Oro Due , ovvero gli undici anni a Francantonio Genovese e all’associazione a delinquere al tempo targata PD.
L’avvocato Nino Favazzo, difensore di Chiara Schirò, ha così commentato la sentenza: ”Salvo ogni altro approfondimento di merito, possibile solo dopo il deposito della motivazione, la semplice lettura del suo dispositivo, consente una prima riflessione: la sentenza emessa dai Giudici della Seconda Sezione del Tribunale di Messina rappresenta la cartina di tornasole quanto alla eccessiva severità delle pene inflitte, per le medesime condotte, appena qualche mese addietro, da altro Collegio Giudicante. Ciò impone una seria e ben più ampia riflessione sul tema della discrezionalità del Giudice nella applicazione della pena, soprattutto ove si consideri che, così evidenti differenze in termini di trattamento sanzionatorio, si colgono all’interno di uno stesso Ufficio Giudiziario”. A Chiara Schirò, moglie di Genovese, sono stati inflitti ieri appena 26 mesi, a fronte dei tre anni e mezzo del primo filone sulla Formazione.
Le accuse contestate a vario titolo sono di associazione finalizzata al peculato (ma riqualificato in truffa aggravata) reati finanziari e falsi in bilancio connessi alla gestione degli enti di formazione professionale, peculato, truffa e tentata truffa.
Non c’è associazione a delinquere per i Capone e per la D’Urso, moglie dell’ex sindaco Peppino Buzzanca, erano stati chiesti 3 anni.
Facile prevedere che i Pm impugneranno più di una ” posizione”.