Sebastiano Ardita, 51 anni, catanese, mezzo secolo da magistrato con una lunga parentesi al DAP, è stato ” cooptato” ( va bene, applicato,ndc) dalla DDA peloritana che può adesso muoversi a bocce piene e aggredire vuoti operativi legati all’organico. E sarà il caso di cancellare l’ignominia della Procura Nazionale Antimafia che dedicava trerighetre alla mafia di città.
Cinque anni da aggiunto, gode di “un tifo da stadio” perché sa muoversi in un Palazzo delle nebbie con il piglio del garante e con la forza del diritto. Quando in mattinata la notizia a Palazzo Piacentini si è diffusa si son registrate pochissime contrarietà. Messina ha bisogno di velocizzare alla reggina alcuni fascicoli.
Ma è il caso di riproporre un passo di un’intervista ad Ardita sull’asse Messina-Catania. Quale correlazione esiste tra la mafia della Catania degli anni ’80 e la mafia messinese (se esiste), del centro città e della provincia? Quali analogie e quali differenze?
“Sul territorio della provincia di Messina ha sempre soffiato forte l’influenza della mafia catanese. Anche se in città non è stata presente una famiglia di cosa nostra, il territorio è stato infiltrato da propaggini della famiglia catanese.
Ma ciò che avvicina di più Messina a Catania è la predominanza di una borghesia compatta e solidale nelle espressioni di potere, ma non sempre attenta ai problemi sociali che generano criminalità ed alla presenza di commistioni tra economia e potere mafioso.
Messina è dunque potenzialmente un luogo nel quale il modello della “non contrapposizione” può svilupparsi agevolmente, consentendo alle propaggini mafiose di agire sottotraccia. Devo dire però che a Messina, come anche a Catania, colgo nei giovani nuove consapevolezze ed un desiderio di regole, unito alla voglia di superare i privilegi delle combriccole e di esaltare il valore civico della cittadinanza”. (@G.Pensavalli)