Omofobia a Messina: il titolare del Chiodo chiede “scusa”, ma il problema culturale resta

di Palmira Mancuso  – Ieri sera Messinaora era presente all’incontro chiarificatore che si è tenuto tra Diletta Di Bartolo e il proprietario del Chiodo Mario Musolino, dopo che il giorno di San Valentino si è verificato un episodio di omolesbotransfobia.

Una doverosa premessa per chi leggerà questo articolo dopo aver letto quello dello Gazzetta del Sud, e che ha sostanzialmente vanificato il tentativo di conciliazione che si era concluso con una stretta di mano.

Il motivo è semplice: da un lato la sincera mortificazione di Musolino, che solo dopo aver ascoltato dalla voce di Diletta ha compreso quanto quelle sue parole, all’apparenza non aggressive, possano aver ferito lei e la sua ragazza, facendole sentire ghettizzate e discriminate. Dall’altra la maldestra tentazione di voler sminuire a tutti i costi un atto di omofobia, magari puntando su “quantità e qualità” delle effusioni: e allora il “bacio a stampo” diventa sul giornale “contatto intimo”. La “pruderie” collettiva è ben servita, la verità sostanziale dei fatti certamente no.

E così, avremmo voluto raccontarvi dell’incontro sereno, di come l’imbarazzo e la rabbia attraverso il dialogo si siano trasformati nell’arco di due ore in ascolto e comprensione reciproco, di una intera comunità che ha fatto sentire la sua solidarietà a una giovane coppia di ragazze, di un imprenditore che per la sua storia si sente persino vicino al mondo gay e che non aveva intenzione di provocare quel disagio, di un presidente Arcigay come Rosario Duca sempre attento a tutelare le vittime di una discriminazione.

Ma altre parole hanno acceso gli animi, provocando la reazione dei protagonisti della vicenda, che stamattina si sono ritrovati a leggere tra le virgolette alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano locale dall’avvocato Antonio Lione, da cui lo stesso si dissocia e che ieri sera non erano nemmeno emerse. Nessuno infatti ha parlato di “contatti intimi da evitare nel locale, all’interno del quale si trovavano bambini”. I fatti raccontati da Diletta al nostro giornale non sono infatti mai stati smentiti, e sulla narrazione e la rettifica al quotidiano, che lo stesso avvocato si è premurato di annunciare al telefono, non sarà compito nostro sindacare sul lavoro altrui.

Resta una storia emblematica, da cui emergono diversi aspetti positivi e altrettanti negativi. Soprattutto emerge un dato incontrovertibile: l’omofobia, come la violenza di genere, come il razzismo, come il bullismo, fondano le proprie radici sulla mancanza di cultura che si alimenta con il linguaggio.

Così ci siamo sforzati di comprendere il “punto di vista” di un uomo perbene, ma per il quale fa poca differenza se un cliente chiede di “spegnere il condizionatore” o di “evitare baci”, così come diamo per “buona” la reazione dell’avvocato che leggendo le sue stesse dichiarazioni sul giornale se ne dissocia, aggiungendo “se fossi in loro anche io mi incazzerei”.

Allora non ci resta che concludere ringraziando tutti quelli che ci hanno messo la faccia, in particolare Diletta, che con la forza di chi non può imbavagliare un sentimento, ha costretto ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità, dove è chiamato a farlo. Rendendo pubblica una vicenda personale, con le inevitabili conseguenze di esporsi al giudizio di terzi, per mettere in luce come sia ancora sottovalutata la portata di gesti e parole discriminanti per chi le subisce.

In un locale si può scegliere di dire al cliente omofobo “si sposti lei”, in una difesa si può scegliere di puntare sul diritto di darsi un bacio o su “come” questo diritto sia determinato dal livello di passione (o due o tre o a stampo o alla francese o sul collo o sulla guancia), in un giornale si può scegliere di raccontare i fatti chiamandoli col proprio nome, perchè l’omofobia (come le altre forme di violenza) si nutre di quei pregiudizi difficili da scardinare o si possono cercare giustificazioni che solleticano le fantasie del lettore, magari alimentando il dubbio che le vittime “se lo meritavano”.

Di certo questo episodio ha fatto emergere che la sensibilità contro l’omotransfobia a Messina è cresciuta, le persone sono più attente, prendono posizione, chiedono rispetto, e sanno anche chiedere scusa. O almeno ci provano.

 

 

 

 

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