Arrestato il neofascista messinese Gaetano Saya

I carabinieri lo hanno arrestato nella sua casa di Genova Castelletto, oggi pomeriggio, notificandogli l’esecuzione d’un cumulo di pene alle quali è stato condannato in primis per aver tentato di creare una sorta di polizia parallela. Gaetano Saya, 60 anni, messinese, nipote di Matteo Gesuino, che fece la marcia su Roma, neofascista dal passato nebuloso, è così finito in carcere: negli ultimi tempi, fra le sue varie e spesso pittoresche attività, si era dedicato alla gestione del Nuovo Msi insieme a Francesco Belsito, genovese ed ex tesoriere della Lega Nord a sua volta travolto da innumerevoli inchieste giudiziarie. Ai militari del nucleo operativo di San Martino, guidati dal capitano Massimo Caputo, lo stesso Saya non ha opposto alcuna resistenza.

Fra 2005 e 2006 era stato ritenuto, e per questo finì ai domiciliari in un’inchiesta partita da Genova, fra i creatori di un’ambigua struttura che si definì “Nuova Gladio”. Alla fine risultarono piuttosto una banda di nostalgici e millantatori, ma oggettivamente capaci di ottenere svariati crediti nelle istituzioni e di accedere a database riservatissimi. «I componenti dell’organizzazione – scrivevano gli inquirenti negli atti d’accusa – hanno programmato e svolto in varie città italiane, di propria iniziativa e quindi abusivamente e arbitrariamente, attività corrispondenti a funzioni proprie di organi di polizia e di sicurezza».

L’accusa era di associazione a delinquere finalizzata all’usurpazione di titolo oltre, in vari casi, l’illecito uso d’informazioni riservate tratte dalle banche dati del Viminale. Il Dssa (acronimo dell’altisonante Dipartimento studi strategici antiterrorismo), secondo quanto fu chiarito dalla Digos genovese che lo smantellò, era organizzato in modo gerarchico. La struttura era articolata in sei divisioni a capo delle quali risultavano esserci in particolare Saya e Riccardo Sindoca.

Il desiderio degli affiliati era imbastire un artigianale controspionaggio a pagamento, contando sulle soffiate di poliziotti, carabinieri, guardie penitenziarie e finanzieri iscritti al gruppo. L’indagine era nata dalle intercettazioni condotte per far luce sulla morte di Fabrizio Quattrocchi e l’arruolamento dei contractor italiani in Iraq: il collegamento fra i due procedimenti era rappresentato da un ex parà genovese, la cui posizione fu poi archiviata.

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