La curiosità arriva da Calascibetta, paesino di fronte a Enna. Ricordate quell’uomo che in passato usava un linguaggio colorito nei confronti dei meridionali. Che diceva: “La Lega ce l’ha duro”.
Ebbene, Umberto Bossi, fondatore di una forza politica che in questi giorni con il nuovo leader Matteo Salvini punta il dito contro gli extracomunitari, adesso ha altro a cui pensare: problemi con la Legge perché se “terùn” viene detto a un siciliano può passare anche inosservato, ma se l’insulto è rivolto al capo dello Stato, la Giustizia ti chiede di pagare il conto.
È accaduto all’ex leader del Carroccio, condannato anche in Appello, sentenza arrivata in questi giorni, dalla corte d’Appello di Brescia.
Un anno la pena inflitta per vilipendio dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In primo grado era stato condanno a 18 mesi. A nulla è valsa la tesi della difesa, secondo cui le affermazioni di Bossi sarebbero rientrate nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali.
I fatti hanno inizio il 29 dicembre del 2011, durante la “Berghem frecc”, il raduno invernale della Lega Nord tenutosi ad Albino, quando Bossi, durante il comizio serale, ne combina una delle sue: mima il gesto delle corna con la mano, mentre parla di Napolitano, e contemporaneamente lo definisce “terùn”, dopodiché insulta alcuni membri del Governo Monti.
L’episodio, definito da molti vergognoso, diede vita a una lunga serie di polemiche. A indignarsi furono anche alcuni cittadini.
Tra loro un siciliano, Claudio Cardillo, residente a Calascibetta, che, presa carta e penna, fece subito un esposto alla Procura della Repubblica di Bergamo denunciando l’allora leader della Lega Nord, un movimento politico nato per contrastare “Roma ladrona” ma trovato alcuni anni fa, per colpa di qualche suo esponente, con le mani nella “marmellata”.
Ascoltato a seguito di quest’ultima sentenza, Claudio Cardillo ha detto: “Il rispetto per le Istituzioni è sacrosanto. La corte d’Appello di Brescia ha inflitto una bella lezione di vita. Rifarei l’esposto anche se a sbagliare fosse stato un siciliano”.
Di frasi poco eleganti Bossi ne ha pronunciate anche altre. A Venezia, qualche anno fa, durante il raduno annuale della Lega Nord, rivolgendosi alla signora Lucia Massarotto, che esponeva il tricolore dalla sua finestra, le disse: “Signora, la bandiera la pianti nel cesso”. Uno stile politico per niente sobrio che, questa volta, ha giocato un brutto scherzo. E ironia della sorte, tra i primi esposti, giunti nel 2012 alla Procura di Bergamo, che hanno messo nei guai l’ex leader della Lega, quello di un siciliano. Un terùn, direbbero soprattutto quelli della Lega, ma rispettoso delle Istituzioni. (cfr librizzi)