di Carmelo Catania – Ieri in udienza a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) il boss originario di Novara di Sicilia, detenuto all’Aquila in regime di 41 bis, ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee in merito al ruolo che, secondo i collaboratori D’Amico e Siracusa, avrebbe avuto nelle amministrative del 2007 a Furnari, Mazzzarrà e Novara di Sicilia.
L’intervento di Tindaro Calabrese, boss emergente del clan dei mazzarroti (costola della famiglia mafiosa barcellonese), almeno fino all’aprile del 2008, quando la sua ascesa criminale venne interrotta dal suo arresto nel corso dell’operazione “Vivaio”, ha rappresentato una novità nel corso del processo originato dall’operazione antimafia Torrente del 5 novembre 2010.
Si era appena concluso il controesame da parte del collegio difensivo dei collaboratori Nunziato Siracusa e Carmelo D’Amico, su cui torneremo a breve, che dal carcere dell’Aquila, dove è detenuto in regime di 41 bis, Calabrese ha chiesto di intervenire (per la prima volta, da quanto risulta, dall’inizio del dibattimento, ndr) per rendere dichiarazioni spontanee in merito alle accuse rivoltegli dai collaboratori di giustizia Siracusa e D’Amico nel corso delle precedenti udienze.
«Non ho mai minacciato nessuno per le elezioni a Furnari!» ha esordito il Calabrese, «Non avevo nessun interesse per Furnari» paese che frequentava solo per via di diverse amicizie ha continuato, «Io detenevo due cavalli nel maneggio del fratello del dottore Lopes (Salvatore, coimputato nello stesso procedimento, ndr), e lì mi incontravo con Bonanno (Santi, ndr), Natalino Puliafico (il dipendente comunale detentore di un pacchetto di voti destinati al candidato Foti che, secondo l’accusa, furono dirottati sul candidato Lopes in seguito ad una minaccia chiara quanto persuasiva da parte dello stesso Calabrese, ndr), e li sentivo parlare di elezioni».
«Io ero incensurato (all’epoca, ndr), io non facevo spaventare nessuno a Furnari» ha proseguito, «Io mi appassionavo di politica, ma non ho mai minacciato nessuno» e, rivolgendosi alla presidente del collegio, Maria Tindara Celi, ha continuato «Io a Puliafico Natale sa cosa ho detto? Abitate porta a porta con Bonanno, vieni qua da Giulio (Lopes, ndr) ai cavalli, ma dagli il voto disgiunto».
«Questo processo è ingiusto» ha detto, concludendo, «I collaboratori dicono cose ingiuste».
In precedenza, come anticipato, l’udienza aveva visto lo svolgersi del controesame dei collaboratori Siracusa e D’Amico da parte delle difese: Carrabba e La Manna per Lopes, Calabrò per Geraci, Lo Presti per Arcidiacono.
Tra gli aspetti principali, emersi nel corso delle precedenti udienze, su cui le domande dei difensori si sono concentrate per contestare l’attendibilità dei collaboratori, rilevano: i presunti rapporti di vicinanza del dottor Lopes alla cosca dei mazzarroti, con particolare riferimento al rilascio di alcuni certificati medici falsi che avrebbero agevolato la posizione processuale di Carmelo D’Amico e Salvatore Micale nel corso di un processo in Corte d’assise per un triplice omicidio, l’effettivo “ruolo” di Geraci e Arcidiacono all’interno dell’organizzazione mafiosa, l’interessamento di Calabrese, Geraci e Arcidiacono nelle amministrative del 2007 a Furnari, ma anche a Mazzarrà Sant’Andrea e in altri comuni dell’hinterland, il “tornaconto” che gli stessi avrebbero ottenuto in cambio della loro opera di “procacciamento” di voti.
Proprio in merito alla questione dei certificati medici falsi che sarebbero stati forniti dal Lopes al D’Amico, il pubblico ministero Angelo Cavallo della Dda di Messina, ha depositato in udienza due certificati medici prodotti nel corso del processo per il triplice omicidio di Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, assassinati il 4 giugno 1993 nei pressi della vecchia stazione di Barcellona Pozzo di Gotto perché avevano commesso furti senza averne il permesso.
Insieme ai certificati medici che, secondo quanto riferito in aula dal pm, sarebbero privi di timbro e con firma illeggibile, il dottor Cavallo ha depositato un’informativa del Ros, del 10 ottobre scorso, dalla quale risulterebbe che il dottor Lopes non ha mai lavorato presso l’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Proprio in merito al fatto che non sembra sia possibile risalire a chi rilasciò materialmente quei certificati, il dottor Cavallo ha chiesto quindi di sentire in udienza i due ufficiali del Ros che hanno svolto i riscontri sulle dichiarazioni di Carmelo D’Amico, del fratello Francesco e di Nunziato Siracusa.
Contestualmente la difesa Lopes ha chiesto al Tribunale che vengano fatti accertamenti per identificare i medici che firmarono quei certificati oltre a tutta la documentazione medica relativa.
Il Tribunale, acquisendo i certificati e la nota informativa del Ros, ha disposto per l’udienza del prossimo 1 dicembre l’audizione dei due ufficiali del Ros estensori della stessa.