di Palmira Mancuso – I messinesi volevano i “giochi i focu”. Eccoli serviti. E servili. Non basta il bollino rosso a giustificare il caos del controesodo. Non basta il bollino nero a giustificare le lunghe ore sotto il sole a cui sono stati costretti gli automobilisti incolonnati per uscire dall’autostrada, e indirizzati all’imbarcadero della rada San Francesco.
E se ormai ci siamo rassegnati allo smantellamento delle Ferrovie politicamente condotto, ridimensionamento dopo ridimensionamento, a tutto vantaggio del monopolista, ci chiediamo come mai, siamo pronti a liquidare la paralisi di una città con “l’impreparazione”. Da dieci anni a questa parte non sono serviti gli appelli di chi chiedeva almeno una cartellonistica adeguata: indicazioni per decongestionare il traffico sul Boccetta avvisando di uscire a Messina Centro, ed esempio.
Una città ostaggio del traghettamento. Pronta a dimenticare già il prossimo ottobre, alla scadenza della concessione della rada, di questi giorni in cui dallo svincolo Boccetta al viale della Libertà (mai nome fu più amaramente sarcastico) Messina altrimenti detta Franzopoli è un unico, cocente, intasato corridoio di asfalto e cemento per TIR e macchine dirette all’imbarcadero privato.
Per i messinesi alla guida, divenuti intralcio per i ferry boat, al danno del rimanere intrappolati, la beffa di multe con l’eyescout che hanno immortalato chi posteggiava in doppia fila. E il “traffico intenso” è previsto per tutto il weekend.
Ci piacerebbe usare l’ironia di Bellavista, ma nemmeno la poesia ci salva. Ci avrebbe salvato il secondo approdo a regime e un’amministrazione capace di gestire un controesodo che non è l’arrivo dei marziani. Con un investimento pubblico le ricchezze generate dall’attraversamento resterebbero alla città e non ad un gruppo privato. A loro i profitti, alla città lo smog ed il caos. No, e i fuochi d’artificio alla Vara (quasi stavamo per dimenticare).
Il vero problema è che abbiamo perso la capacità di immaginare la Rada senza traghetti: ci hanno educato così. Ci hanno convinti che attraversare lo Stretto nel punto che fino agli anni 60 era il mare dei messinesi (coi suoi lidi e il ristorante Miramare dove anche la notte si mangiava il pesce) è il modo più veloce e quindi più conveniente di raggiungere la Calabria. Certo. Per chi?
Aspettare la media di tre ore ore imbottigliati e senza che nemmeno la protezione civile fosse stata allertata, o la prefettura abbia predisposto degli interventi per assicurare ai malcapitati di passaggio sullo Stretto, un minimo di confort. Vedere che in via Campo delle Vettovaglie la calma piatta avvolge con la canicola il piazzale deserto, e i traghetti Fs partono quasi vuoti, piuttosto svuotati dell’idea di servizio pubblico e redditizio.
Avere una concessione significa garantire efficienza, perché le code intasano un’intera città e la sua economia: e con cinque invasature in regime di monopolio alla rada di San Francesco, se si formano tali file è perché non si hanno abbastanza navi in linea.
Ma c’è anche altro. C’è un problema di sicurezza che tutti sembrano non vedere, e di cui chiede conto, mettendoci la faccia, il Comitato la Nostra Città che in una lettera al Comandante della Capitaneria di Porto ha chiesto “di conoscere se vi siano in atto controlli sulle navi Cartour” facendo seguito alla segnalazione di molti cittadini che chiedono se il “numero di passeggeri ospitati in questo periodo di massimo afflusso delle auto sulle navi superi di molto il limite previsto dalle attuali tabelle di armamento”.
“Lo scorso 11 agosto chiedevamo al comandante del porto di Messina di essere informati in ordine al rispetto dei livelli di sicurezza minimi praticati dalla flotta Cartour – dichiara Saro Visicaro, voce nel deserto della politica sul fronte antitir – Il suo ostinato silenzio ci preoccupa e induce a pensare a due eventualità : 1) La Capitaneria non controlla il rispetto delle norme di sicurezza sulle navi Cartour; 2) Le navi Cartour oltrepassano i livelli di sicurezza con gravissimo pregiudizio per coloro che navigano nello Stretto.”
(l’immagine “pop” in apertura si riferisce all’imbarcadero di Villa San Giovanni ed è tratta dal web)