In queste ore di scambi epistolari, che ci fanno pensare a come il destino di Messina sia spesso collegato alla stesura di lettere (a partire dalla più famosa benedizione mariana), cerchiamo di andare oltre le polemiche tra amministrazione e gruppo Franza, e fuori da ogni logica politica, parliamo di opportunità economiche.
La riflessione parte da un dato concreto: ovvero l’artbonus, il decreto legge che dal 2014 ha introdotto strumenti per sostenere il patrimonio culturale e rilanciare il settore turistico. Con il nuovo Art Bonus è infatti detraibile il 65% delle donazioni che le singole persone e le imprese fanno in favore di beni culturali.
Ci viene in mente, poichè il mecenatismo oggi conviene, sia a chi lo fa sia a chi lo riceve. Un rapporto “do ut des” regolato da logiche imprenditoriali, e da cui l’amministrazione può trarre vantaggio senza subire alcun tipo di “ricatto”, tantomeno sentendosi in dovere di manifestare gratitudine se non quella normale che ogni cittadino può esprimere dinanzi alla buona riuscita di un progetto che sia di interesse comune.
Dunque nella questione “Vara”, a margine della campagna di crowfunding partita come reazione alla lettera di Franza e che certo ha politicamente un valore, vorremmo dire che l’amministrazione ha forse peccato della solita ingenuità che si traduce nel ritrovarsi su un piano “difensivo” quando potrebbe essere il contrario. Di fatto la risposta Accorintiana potrebbe per molti “giustificare” l’eventuale scelta di contribuire o meno all’ultima edizione della Vara. Chi ruota attorno all’organizzazione di questo evento quindi (come già leggiamo nei commenti agli articoli sulla vicenda) è pronto a “scaricare” sull’Amministrazione l’eventuale mancanza dei fuochi d’artificio (atteso momento di chiusura del Ferragosto), perchè “hanno fatto arrabbiare Franza e in fondo i soldi sono suoi e li spende come vuole”. Solito gap accorintiano nelle strategie di comunicazione politica.
Concordando col noto architetto Luciano Marabello (ex esperto della Giunta Accorinti) “nello specifico non si tratta di elargizioni per la vara, per il concerto o la mostra ma di vantaggi fiscali e strategie d’impresa; se poi la lettera alle imprese la scrivi chiedendo le offerte e non ricordando e ribadendo i vantaggi, certo che dai strumenti d’uso politico e contrattuale a chi fa gli affari: non è lo sponsor etico il tema, ma l’etica della politica che deve conoscere i fatti e mettere i puntini sulle i”.
Certo, sembrano lontani i tempi in cui le casse comunali finanziavano lautamente anche la tv locale, per permettere la “storica” diretta della processione, con gli ormai mitici collegamenti di sudati giornalisti pronti a salutare coi parenti “chi in questo momento non può essere qui a tirare” senza mai pronunciare la parola “carcere”. I tempi sono cambiati, la Vara è diventata terreno di riscatto anche morale, teatro in cui Addiopizzo ha fatto ingresso a gamba tesa, con Accorinti che appena eletto è salito sul ceppo a segnalare una “frattura” col passato.
“Giù le mani dalla Vara” dunque: per chi ci crede e per chi la vive come un’espressione irrinunciabile di messinesità. Senza paura di tornare alla semplicità di considerarla per quella che è, oltre ogni questione di Fede: un rito collettivo che sancisce l’appartenenza con la città. Chi c’è, c’è. E come accade per ogni festa padronale, il popolo offrirà quel che sarà in grado di offrire: altre logiche non sono ammesse, e sviliscono la ben più alta questione dei rapporti di forza tra i poteri della città. (@Pal.Ma)