“Binnu u tratturi”, “il ragioniere”, “Zu Binnu”, sono solo alcuni dei soprannomi utilizzati per indicare il “boss” più feroce di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, morto nell’ospedale “San Paolo di Milano” all’età di 83 anni e posto dopo il suo arresto, avvenuto l’11 luglio 2006, al regime carcerario del 41 bis. A dieci anni di distanza dalla sua cattura, Provenzano se ne è andato portando con lui i grandi segreti di Cosa Nostra, a partire dalle indagini sulla sua latitanza per finire con la trattativa Stato-Mafia.
“Binnu u tratturi – il trattore” è il nomignolo che Provenzano “acquista” dopo la strage di viale Lazio, nella quale uccide, su comando di Michele Liggio, allora capo di Cosa Nostra, Michele Cavataio detto il cobra, che aveva rotto gli equilibri della cosca mafiosa. Inizia a nascere così il mito del boss violento che non riflette troppo e che è già latitante dal 1963, quando i carabinieri lo cercano per gli omicidi commessi durante una faida tra corleonesi.
La figura del “ragioniere” nasce dopo. Liggio è in carcere e a sostituirlo alle riunioni della Cupola, l’assemblea deliberativa della piovra, ci sono spesso proprio Provenzano e Riina. I due però, hanno idee diverse. “Binnu” si defila, mantiene il basso profilo, si dedica agli affari, ordina estorsioni, impone il pizzo alle attività commerciali, infiltra diligentemente Cosa Nostra negli appalti pubblici. Riina invece inizia a tenere un atteggiamento via via più minaccioso, più spavaldo nei confronti degli storici boss palermitani e istiga alla violenza. In questi anni, che passeranno alla storia come gli anni del “sacco di Palermo”, Provenzano stabilisce il suo quartier generale alla Icre di Bagheria, all’interno del quale mette d’accordo boss, politici e imprenditori senza dimenticare di impartire ordini di morte.
Nel capoluogo siciliano invece, Riina dà il via alla seconda guerra di mafia, facendo strage di tutti i boss che non si piegano alla sua supremazia. “Zu Binnu” alle pistole preferisce la vita diplomatica, dove il suo uomo di fiducia è un altro corleonese: Vito Ciancimino spinto a diventare, se pur per poco tempo, sindaco di Palermo e con il quale, negli anni 90 instaura un rapporto fondamentale.
Due anni dopo arriva per i mafiosi la fine delle impunità. La cassazione di Palermo conferma le condanne del maxiprocesso. Cosa Nostra non ci sta, reagisce ed è così che ha il via il biennio rosso. Salvo Lima è il primo politico a cadere sotto i colpi di arma da fuoco della mafia. Successivamente toccherà a Falcone e Borsellino saltare in aria. Provenzano sfrutta così la sua situazione a favore visto che tutti i boss stragisti fedeli a Riina finiscono uno dopo l’altro nella rete delle forze dell’ordine e inizia a trattare dando indizi importanti su come catturare lo stesso Riina. Secondo le forze dell’ordine che indagano in quel periodo, il “boss dei boss” prevede una sorta di pace, che secondo i pm palermitani si trasforma in incolumità per il mafioso.
Provenzano non viene arrestato nel luglio del 1993, quando Salvatore Cancemi decide di pentirsi, annunciando di dover incontrare “il ragioniere” pochi giorni dopo. Un accordo forse c’è, perchè egli sfugge alla cattura anche due anni dopo, nel 95, quando la soffiata del confidente Luigi Ilardo lo individua in un casolare alle porte della località “Mezzojuso”. Nel 2004 il boss può addirittura permettersi di farsi operare a Marsiglia per un tumore alla prostata. Scoppia il caso Attilio Manca, giovane neurolgo originario di Barcellona Pozzo di Gotto che sarebbe entrato, secondo la ricostruzione della famiglia del giovane medico, in contatto con il boss mafioso per operarlo. La sua morte, avvenuta’11 febbraio 2004, è passata alla storia come un suicidio e secondo Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia di allora, il boss corleonese sarebbe del tutto estraneo alla vicenda della morte del neurologo, trovato sfigurato e in una pozza di sangue.
La lunga fuga del ragioniere di Cosa Nostra si interrompe di botto l’11 aprile del 2006, quando viene arrestato in un casolare nei pressi di casa sua, a Corleone. Anche dopo l’arresto però “Binnu” continua a suscitare dubbi e misteri. Dopo le dichiarazioni rilasciate ai pm Antonio Ingrioia e Ignazio De Francischi da parte dell’europarlamentare alla commissione antimafia, Sonia Alfano, sulla pronta collaborazione del boss, ecco che le condizioni di salute dello stesso Provenzano peggiorano. Il presunto tentativo di suicidio, le inspiegabili cadute dal letto, le percosse ricevute che lui stesso racconta al figlio e la detenzione spesso a telecamere spente, spingono il suo legale, Rosalba Di Gregorio, a chiedere la revoca del regime carcerario duro, l’ultima avvenuta l’aprile scorso.
Con la sua morte, la corte d’assisi palermitana perde uno dei suoi imputati principali, custode dei segreti tra Stato e Mafia. (@Piero Genovese)