La Chiesa di Santa Domenica di Taormina ha dato l’ultimo saluto a Carmelo Scalone, vittima di terribili sofferenze giudiziarie. Aveva 79 anni e nel 1993 fu al centro di una drammatica vicenda: fu arrestato con l’accusa di essere uno dei telefonisti della Falange Armata, poi fu assolto e risarcito dallo Stato. Sei mesi trascorsi in carcere e l’assoluzione definitiva giunta dopo 9 anni di indagini. Un clamoroso errore giudiziario che lo Stato saldò con 35.000 euro di risarcimento per ingiusta detenzione.
Già ma una carriera professionale stroncata e una vita che da allora non è stata più la stessa. Fino ad essere abbandonato da tutti, reietto, ” marchiato”.
Scalone era nato a Basicò nel 1937, era laureato in pedagogia ed era educatore-coordinatore. Nel settembre del 1974 ad Ascoli Piceno si sposò Annamaria dalla quale ha avuto un figlio, Gianluca. Nel 1979 partecipò al primo concorso del ministero della Giustizia per operatore sociale penitenziario, una figura “rivoluzionaria” introdotta dalla riforma carceraria del 1975. Risultato idoneo, Scalone venne assunto pochi mesi dopo e destinato al carcere di Agrigento.
Ha cominciato lì la propria carriera, è stato in seguito assegnato all’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto ed infine trasferito al carcere di Gazzi dove prestava servizio fino al giorno dell’arresto.
Ritenuto uno dei telefonisti della “Falange Armata”, Scalone finì in manette il 26 ottobre 1993 nella sua casa a Taormina con le gravi accuse di associazione per delinquere finalizzata all’eversione e alle minacce, e tornò in libertà dopo sei mesi.
Il procedimento in cui era coinvolto l’operatore penitenziario si riferiva al periodo compreso tra il 1990 e il 1993, quando la Falange Armata rivendicò numerosi attentati e rivolse minacce, tra gli altri, all’allora Presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro e al suo predecessore Francesco Cossiga, a Silvio Berlusconi, a Giovanni Spadolini, a giornalisti e imprenditori. Ad inchiodare l’operatore penitenziario, per i giudici di primo grado, fu l’identificazione del suo numero telefonico dal quale risultavano essere partite delle chiamate a nome della “Falange”.
Il 17 marzo 1999 Scalone fu condannato a tre anni di reclusione. Sentenza riformata in appello due anni dopo, quando l’imputato venne riconosciuto estraneo ai fatti sulla base di una nuova perizia, e confermata dalla Cassazione nel luglio 2002. «Non è facile sintetizzare in poche parole le sofferenze, le umiliazioni, il disastro morale, esistenziale e affettivo accumulati durante questi lunghi e tormentati anni. Della mia esistenza e della mia salute è stato letteralmente fatto scempio», raccontava Scalone. «Nulla potrà mai cancellare l’esperienza che ho vissuto, mi hanno rovinato la vita. Quando fui arrestato ci furono titoloni sui giornali, tutti si occupavano di me. Dopo la mia assoluzione neanche un trafiletto, forse è proprio questa la cosa più desolante». (@G.Pensavalle)