Uno degli ufficiali più importanti della Capitaneria di porto genovese, Marco Noris, capitano di fregata responsabile della sezione sicurezza della navigazione coinvolto nell’inchiesta sul disastro della torre piloti di Genova, che costò la vita a nove persone fra militari della Capitaneria stessa e operatori radio dei rimorchiatori. Tra le vittime il 25enne di Milazzo Giuseppe Tusa.
La Procura accusa Noris di «omessa vigilanza» perché, nella sua veste di controllore, ha ratificato le attestazioni concesse dal Rina – ente certificatore fra i più noti al mondo – a una serie di navi Messina che agli occhi di chi indaga non avevano i requisiti; al punto che una di quelle, la Jolly Nero, il 7 maggio 2013 a causa di un’impasse al motore rimase in abbrivio all’indietro durante una manovra di uscita dal porto, abbattendo la Torre piloti e uccidendo nove persone.
«Il problema – conferma una qualificata fonte investigativa – è che quello in cui ci stiamo imbattendo pare un sistema consolidato, che potrebbe essersi protratto per molti anni. Ed è possibile che nelle prossime settimane vengano inviati altri avvisi di garanzia».
La Procura contesta nello specifico gli attestati rinnovati dal 2008 a Jolly Nero, Jolly Amaranto, Jolly Platino e Jolly Marrone. I documenti ai quali fanno riferimento gli investigatori sono il certificato di sistema Sms (Safety management system) e il cosiddetto Safety Managament Certificate, da rilasciare a ogni singolo scafo, che ne dovrebbe garantire il rispetto degli standard fondamentali di prevenzione del rischio.
Il problema è che quelle portacontainer hanno registrato 107 guasti in poco più di 10 anni. Non solo: in 18 occasioni si sono verificate anomalie simili a quelle che causarono la strage, e però in 15 occasioni non sono stati indicati correttivi adeguati.
Ecco allora che quegli intoppi e il modo in cui furono trattati manutenzione e prevenzione successivi, nell’opinione dei magistrati, risultano incompatibili con il Safety Management Certificate, con il codice Ism e in generale con la circolazione come se nulla fosse di mercantili pericolosi nei mari di più continenti. È vero che tra gli esperti il mancato riavvio è ritenuta una defaillance piuttosto imprevedibile. Ma nell’impostazione attuale la Procura è convinta che il Rina, aldilà di eventuali distorsioni nei report da parte dell’armatore, avesse informazioni sufficienti per non concedere le attestazioni che invece arrivarono regolarmente; e che la capitaneria di porto dovesse a sua volta esaminare più a fondo le carte.Nel frattempo, dei quattro cargo nel mirino solo uno è ancora in vita, la Jolly Platino passata ai cinesi. La Amaranto è affondata al largo di Alessandria d’Egitto, Nero e Marrone sono state smantellate.
L’inchiesta ha registrato una sterzata mentre si apprestava a entrare nella fase cruciale. All’inizio gli inquirenti avevano ipotizzato che Messina avesse «tratto in inganno» i militari; ma dopo una serie d’interrogatori ha preso corpo un’ipotesi differente, ovvero che la stessa guardia costiera abbia “ratificato” – in qualità di autorità marittima pubblica delegata a tale compito – con troppa leggerezza il via libera dei privati.
Meglio chiarire: mentre a Rina e Messina è contestato il più grave reato di falso, al capitano di fregata Marco Noris si addebita un’«omessa vigilanza», che potrebbe essere estesa ad altri ufficiali o sottufficiali in servizio nel periodo incriminato, escludendo di fatto l’ultimo triennio. (@Gianfranco Pensavalli)