di Eleonora Currò- Penetrano dritti dentro i miei, quegli occhi. Così neri. Così profondi. E mi lasciano senza parole, con il cuore in pezzi. Alcuni sono pieni di lacrime, altri cercano di sorridere. Tutti raccolgono la speranza di un nuovo inizio.
Sono 655 e sono sbarcati stamattina al Molo Marconi. Sono tutti africani, la maggior parte della Costa D’Avorio e della Repubblica di Guinea, hanno un asciugamano in testa per proteggersi dal sole, dei calzini ai piedi. Mentre attendono di scendere dalla nave di Medici Senza Frontiere alcuni ci salutano sorridendo, un po’ come facevamo noi da piccoli durante le gite scolastiche dal pullman insieme ai compagni classe. È stato questo il primo pensiero che mi è venuto in mente, a pensarci adesso sembra così banale e così lontano, eppure in fondo qualcosa ci lega tutti. È evidente. Evidente dai loro occhi, dai loro sorrisi, dalla loro speranza.
E noi siamo lì, dall’altra parte delle transenne, confusi anche noi, incerti anche noi. Addolorati anche noi. In realtà siamo così pochi. Non assistevo a uno sbarco da diverso tempo. Mi aspettavo flash, microfoni, fiumi di colleghi pronti a raccontare il piccolo miracolo di queste vite salvate e invece quasi il deserto. Siamo presenti solo in pochi, ancora meravigliati e sorpresi dalla forza e dal coraggio di questi uomini.
Come ci si può abituare a tutto questo? Come ci si può abituare a questi occhi tristi ma pieni di speranza, ai loro sguardi ricchi di dignità, alle manine dei più piccoli che cercano sostegno? Eppure, forse, per molti è diventata una normale routine che non fa più notizia.
C’è però un’altra faccia della medaglia. Un altro punto di vista rappresentato dai volontari, dalle associazioni, dal Comune, dalla Prefettura, dalla Croce Rossa tutti presenti, tutti in prima fila pronti a prestare soccorso, a sorridere, a porgere una mano e magari un peluche a chi è appena arrivato da un viaggio che gli cambierà la vita. No, non ci si può abituare a tutto questo, di “noi” ne esiste uno solo, quello che comprende tutti, chi sta al di qua e chi al di là della transenna, chi sta sulla nave e chi è giù ad aspettare, chi imbraccia una macchina fotografia e chi coccola un peluche, solo che a volte ce lo scordiamo.
Fotogallery