di Palmira Mancuso – Da qualche giorno, mio malgrado, vengo da più parti sollecitata a scrivere un editoriale sui tre anni dell’amministrazione Accorinti. C’è chi vuole sapere quale bilancio faccio, io che in questi 1000 giorni ho osservato da questa vedetta costruita in quasi cinque anni di lavoro (non solo mio, ma di tutti quelli che ci hanno creduto) i passi che hanno seguito la vita politica e amministrativa della città, nel frattempo diventata anche istituzionalmente metropolitana.
Argomento troppo vasto da contenere in un articolo di giornale. Eppure cercherò di sintetizzare alcuni punti fondamentali per me, che mi sforzo di dare voce alla sensibilità della mia generazione, in cui ritrovo messinesi “di ritorno”, giovani professionisti che tre anni fa sono rientrati apposta per votare il cambiamento, che hanno sperato nell’opportunità di essere finalmente rappresentati e di avere spazi di praticabilità dentro istituzioni finora chiuse o inaccessibili se non attraverso il placet di quei poteri forti che ancora gestiscono gran parte della città, e che adesso stanno giusto facendo un bilancio e l’unica cosa che temono è davvero la “inaffidabilità politica” di questa amministrazione.
Non dirò che sono delusa da Accorinti. Sarebbe davvero banale pensare di ridurre un sogno di riscatto generazionale, una partecipazione diffusa trasversalmente (dalla ancora importante borghesia messinese alla gente dei quartieri popolari, dagli universitari agli artisti) alla delega di un leader. A me “l’uomo forte al comando” non è mai piaciuto, ne a destra tantomeno a sinistra. Ne se al vertice si sostituisce una “massa popolare”, se le dinamiche della partecipazione democratica non corrispondono alla necessità di dare spazio ad ogni individualità.
Non dirò quindi che sono delusa da Accorinti perché non ho votato un leader, non una guida spirituale, non un anarchico, tantomeno un pacifista. Ho votato per un cambiamento tre anni fa, liberamente attratta dalla stessa possibilità antipartitocratica che oggi appare a livello nazionale non solo nel voto grillino, ma nel desiderio di territorializzare la politica fuori dalle logiche di appartenza ad ideali, piuttosto di adesione ad obiettivi. E questo è terreno su cui chi non ha necessità di un “capo” deve perseguire il riscatto collettivo, il bene comune, perchè non credo che bastino tre anni per dare respiro e cultura ad una città che ha dimenticato pagine intere della sua storia, che deve ricostruire identità, che deve ancora fare i conti con quel cadavere azzurro che alcuni ragazzi degli anni cinquanta avevano tentato di salvare dalle speculazioni, quando a Messina si pubblicavano inchieste sul porto e l’affaccio a mare in un piccolo giornale indipendente diretto dall’eclettico Luigi Ghersi, oggi giovane ottantenne e riconosciuto artista, che vuole ancora progettare la rinascita della città a cui “è stata nascosta la bellezza, fino a farla dimenticare”.
L’ho sentito parlare ieri sera alla presentazione del libro di un altro giovane ottantenne, Peppino Loteta (il cui lavoro narrativo merita uno spazio a parte su questo giornale, e lo avrà prossimamente) e in quell’aula magna dell’università, dove i fasci sono protetti da una lastra di vetro, e dove non ho trovato quelli che considero i giovani intellettuali di questa città (che pure ci sono), ho capito che dovevo scrivere.
Perché se la Falce e l’affaccio al mare sono l’identità di Messina, il riscatto di queste zone non è possibile delegarlo alla sola amministrazione: la delusione allora sarebbe dietro l’angolo e difficilmente potremmo riprenderci quell’identità ricercata da tutti ma costruita da nessuno. Così come appare paradossale che proprio nell’era dell’antimilitarista Accorinti siano le aree militari (dalla ex caserma Bisconte alla cittadella della zona falcata) a segnarne il fallimento politico, visto i progetti a cui sono destinate. E’ in questo momento che chi in questi anni si è speso per riconoscersi in quel voto deve resistere, deve andare oltre la logica dell’individuale delusione, deve riallacciare rapporti, deve correggere fraternamente, deve fare Politica e non fare “lotta continua”. Chi ha avuto per coraggio o intelligenza la possibilità di capire e anticipare i fenomeni, deve piegare l’ego ai tempi di ricezione degli altri, deve allargare il più possibile il consenso. Altrimenti è nichilismo, o al peggio tafazismo puro.
Mentre i cittadini cominciano ad assaporare (dopo decenni di sottomissione alla logica del favore e delle matasse) la dignità dei diritti civili, di un autobus che passa (per i 15enni una assoluta novità), della raccolta differenziata, del Palazzo aperto, non possiamo chiedere che scendano in piazza per la bellezza, perché gli è stata sottratta, non l’hanno mai vista. Se ne sono dimenticati. Mentre qualcuno ha chiuso pezzi interi di affaccio a mare, e ancora vuole chiudere il grande monòpoli con un’unica via: dalla libertà, alla falce, passando per quell’area di cui un tempo Messina era “fiera”.
Io non sono delusa da Accorinti: sono delusa da chi pensava davvero che potesse da solo riscattare una città incancrenita e pigra, sottomessa e bigotta, con un solo giornale (fino all’avvento di internet che comunque ha dato un po’ di respiro spezzando la logica del “se non lo scrivo io non esiste”), con le partecipate usate come bancomat o bacini di ricatti elettorali, con enti alla formazione solo di giovani cittadini umiliati. E molti sono già andati via. E la sfida sarà farli ritornare.
A tre anni quel vento di entusiasmo che sembrava dovessere far risorgere il cadavere azzurro, è stato spazzato da personalismi e inesperienza politica, e oggi penso che mentre la piazza gioiva del colpo di spugna su un passato di commissariamenti e inciuci, c’era anche qualcun’altro a festeggiare. Ma non era in piazza: era a sfregarsi le mani, pensando che sarebbe stato facile abbindolare chi non conosce ben oleati meccanismi, chi ha poca aderenza con le antiche pratiche del potere politico, chi non è maturo alle dinamiche di un movimento che si è andato via via restringendo e che doveva invece essere il motore e il timone di chi comunque è stato chiamato a navigare, e resterà al comando con o senza equipaggio. Qualcuno ha pensato che stavolta per mettere le mani sulla città non ci sarebbe stato bisogno di scomodare interlocutori. E in effetti la cosa grave è questa: lasciare solo Accorinti adesso, vuol dire consentire a chi conosce bene tempi e regole della politica, di ottenere a mani basse ciò che nel tempo ha dovuto lautamente comprare, attraverso la politica.
L’anno scorso, in questo stesso “anniversario amministrativo” c’eravamo chiesti se la città era pronta per un “dopo – Accorinti”: se lo stanno chiedendo da diverse parti, la novità è che adesso se lo chiedono e devono farlo quelli che su lui avevano puntato, riuscendo a distinguere la persona dal mandato che ha avuto, applicando lucidità senza rancore per leggere anche i fallimenti ma senza sminuire quanto fatto sul terreno del risanamento. La stessa forza impiegata “contro” Conti Nibali, non è servita a salvarci dalla Ursino, ultimo dei possibili assessori alla cultura che certo non pensavamo si riducesse per questa amministrazione all’organizzazione di eventi, tra l’altro attraverso sponsorizzazioni.
Ma i primi passi di questa amministrazione non sono stati ancora tutti compiuti: con grandi lacerazioni il tessuto sociale che ha prodotto il fenomeno Accorinti vive un momento di rigetto, un’esasperata necessità del “tutto subito”, allora è bene concentrarsi sull’identità, sulla messinesitudine e non sulla messinesità.