Giustizia: chi risarcirà Padre Fedele?

Chi risarcirà Padre Fedele degli anni di vita che gli sono stati portati via? Chi potrà mai risarcirlo per le umiliazioni subite, per il dolore e la disperazione che certamente lo avranno colto in questi lunghi anni di calvario? Chi? Come? In che misura? Quando?

Le risposte a queste domande, purtroppo, sono anche abbastanza scontate: nessuno potrà mai restituire a Padre Fedele questi dieci anni, nessuno potrà mai quantificare in denaro il suo dolore, la sua mortificazione, la sua vita perduta. Nessuno. Non chi l’ha accusato, una suora di Barcellona Pozzo di Gotto. Non chi l’ha giudicato. Non chi l’ha diffamato. Non chi, in questi anni, l’ha abbandonato.

Era il gennaio del 2006.  Da allora, un pezzo di vita che Padre Fedele – notissimo anche a Messina per una serie lunghissima di attività umanitarie e di gemellaggi vari, compreso quello sportivo – è trascorso sospeso, in attesa (di giudizio). Che sotto processo ci finiscano anche gli innocenti è fisiologico, normale. L’importante, piuttosto, è che il sistema riesca a riconoscerli come tali anche se vengono condannati in primo grado e persino in appello. Sì, da un punto di vista formale non c’è niente da dire. Ma dietro la forma c’è la sostanza. Che nel caso del diritto penale significa la vita, la pelle viva delle persone.

E allora pensare che un innocente ha trascorso dieci anni alla gogna è devastante. Esiste una soluzione? Forse no. Anzi, certamente non c’è soluzione a un problema vecchio quanto il mondo. Ma dei correttivi è possibile immaginarli. Che ne sarebbe di molti processi che si risolvono in clamorose assoluzioni se all’accusa venisse impedito di appellare sentenze favorevoli all’imputato (a dire il vero, però, questo non è il caso di Padre Fedele), se i processi fossero più rapidi e i tempi della prescrizione venissero abbreviati, se i magistrati che sbagliano pagassero finalmente per i loro errori e se chi muove accuse che poi si dimostrano false venisse perseguito non solo a parole?

Ma torniamo a Padre Fedele, le cui pene non finiscono qui. Come se non bastasse la giustizia terrena, infatti, c’è anche la sospensione a divinis, che per un uomo di chiesa pesa più di una condanna. Anche perché gli impedisce di dire messa. Probabilmente (almeno c’è da augurarselo) questa sanzione religiosa verrà ritirata. E allora saremo tutti felici di assistere alla prima messa del frate ritrovato. E di festeggiare così il suo ritorno alla vita. Senza dimenticare mai i dieci anni persi per sempre. (@Gianfranco Pensavalli)

 

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