di Carmelo Catania – Le intercettazioni dell’operazione “Vecchia maniera” hanno provato l’esistenza e lo scopo di queste lacune: “sfumare la responsabilità di Marino Tindaro”, tendenti a raffigurarlo, contrariamente al vero, non già come un imprenditore colluso con la mafia, ma piuttosto come una vittima della mafia”
L’operazione “Vecchia maniera” nasce da un filone di Gotha V nell’ambito del quale sono emersi dei rapporti poco chiari tra Carmelo Bisognano, noto collaboratore di giustizia, e altri soggetti.
Fatto che ha determinato un approfondimento da parte degli inquirenti e la sottoposizione dello stesso Bisognano al “totale monitoraggio” mediante intercettazioni telefoniche e ambientali dalle quali viene fuori un quadro sempre più completo su un fenomeno abbastanza singolare, quello della “strumentalizzazione delle omissioni”.
«Noi tutti conosciamo la storia di Carmelo Bisognano – ha ricordato il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte –, «sappiamo che con la sua collaborazione ha fornito un importante contributo, almeno nella fase iniziale, all’attività giudiziaria contro la mafia barcellonese».
Un contributo che per il procuratore Lo Forte rimane valido, per la ragione che tutte le dichiarazioni accusatorie del Bisognano sono state sempre sottoposte «ad una analitica, paziente e incessante attività di riscontro, sicché sono state utilizzate processualmente le dichiarazioni talmente doviziosamente riscontrate da acquisire piena dignità di piena prova».
Altro discorso è quello delle virtuali lacune ed omissioni fenomeno, secondo il procuratore capo, non infrequente nel mondo dei collaboratori di giustizia.
«Già la procura di Messina, in relazione ad alcune vicende, aveva percepito la possibilità di una non totale completezza nelle dichiarazioni rese dal collaboratore. La possibilità di talune lacune od omissioni, tant’è vero che sui vari punti sono state effettuate a suo tempo anche attività di ulteriore approfondimento».
Grazie a questo monitoraggio delle comunicazioni del collaboratore la procura ha avuto la prova di alcune lacune «ma, soprattutto, e qui è il punto – ha sottolineato Lo Forte – dello scopo e dell’utilizzazione di queste lacune».
In sostanza, secondo la procura, da questa attività approfondita di ascolto e di riscontro, «Bisognano non ha accusato falsamente nessuno, ma semmai ha coperto alcuni soggetti, ha effettuato, per così dire, delle omissioni o delle dichiarazioni di favore nei confronti di alcuni soggetti, in particolare nei confronti di un importante imprenditore mafioso del territorio, Marino Tindaro».
«Ovvero – prosegue Lo Forte – ha minacciato altri soggetti di dire che ciò che sapeva su di loro. Il che significa che non l’aveva detto. Per ricavarne lei vantaggi».
In sintesi, spiega Lo Forte, Bisognano, «per favorire la posizione di Marino Tindaro» (sia nell’ambito del giudizio penale, arrivato alla fase della Cassazione, sia nell’ambito del processo di prevenzione, concernente il sequestro di una serie di beni dell’imprenditore), «ha reso delle dichiarazioni morbide».
«Delle dichiarazioni tendenti a sfumare la responsabilità di Marino, tendenti a raffigurarlo, contrariamente al vero, non già come un imprenditore colluso con la mafia, ma piuttosto come una vittima della mafia».
False dichiarazioni e di favoreggiamento, i capi di imputazione, che però – ricorda Lo Forte – «non hanno avuto la possibilità di produrre risultato perché la Corte di Cassazione ha confermato la condanna definitiva di Marino Tindaro per il reato di cui all’articolo 416 bis», mentre il processo prevenzione in appello è ancora in corso, quindi la “manovra” non ha prodotto il risultato.
Il do ut des di queste dichiarazioni era costituito da «vantaggi, promessi, realizzati ed attuati da Marino in favore di Bisognano» concernenti la partecipazione di Bisognano a determinate attività imprenditoriali e l’erogazione di somme di denaro.
Do ut des che per l’ex capo dei mazzarroti, per Marino e per i prestanome vale un altro capo di imputazione, quello di intestazione fittizia di beni.
C’è poi – continua Lo Forte – un tentativo di estorsione nei confronti degli imprenditori Torre, perché «Bisognano minaccia gli imprenditori di rivelare cose che andrebbero a loro danno, allo scopo di ottenere la loro disponibilità a far lavorare dei propri mezzi.
Tuttavia, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, che riprende sul punto le argomentazioni del Pubblico Ministero, «il Bisognano non è rientrato a pieno titolo nell’associazione criminale di appartenenza, ma ha piuttosto strumentalizzato le proprie dichiarazioni per ottenere vantaggi personali».
Inoltre, secondo il Gip, l’accordo base fra Bisognano e Marino non era deputato ad agevolare l’associazione ma era diretto esclusivamente, era un favore personale, alla posizione processuale dello stesso Marino.
«Dal canto – si legge – suo il Bisognano non ha riallacciato i legami preesistenti con gli esponenti della mafia barcellonese, ma – sottolinea il Gip – ma ha strumentalizzato la sua figura di collaboratore di giustizia rendendo dichiarazioni false a vantaggio di un singolo imprenditore con il quale aveva in mente di condividere interessi imprenditoriali per il futuro».