di Gianfranco Pensavalli – Violenza mafiosa e consenso a Messina. E’ lo spaccato che “legge” Lirio Abbate su L’Espresso, che definisce quella di Messina e provincia la mafia più pericolosa della Sicilia. Detta da un palermitano è dura da digerire. Ma è la chiave di lettura che può provocare sconcerto: perché è ritenuta mafia violenta, che può contare sul più solido consenso sociale legato a Cosa Nostra.
Detto che subito che la Procura Nazionale Antimafia non la pensa così, il presupposto di Abbate è che la mafia dei Nebrodi ha sfidato le forze dell’ordine con l’agguato a Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, infischiandosene dell’ovvia reazione istituzionale. Dunque, è mafia tipica dei messinesi arroganti e violenti, che fanno il contrario di quel che oggi fanno i mafiosi che curano gli affari senza clamori. E così è facile legare i Nebrodi alla morte di Giovanni De Francesco, elevato a ruolo di capo del gruppo criminale di Camaro. Suvvia…Anche se quel funerale potrebbe indurre a pensarlo visto che è stato trasformato in “esaltazione”.
Eppoi, c’è quel regolamento di conti a Giostra con un gambizzato che perde un arto sotto i colpi della lupara.
Mafia messinese che trae consensi in un contesto economico di sofferenza, dove i clan vengono cercati e il tutto costituisce un welfare poco contrastato dalla società civile.
La chiosa finale: a Messina i mafiosi non valgono Totò Riina e la sua potenza ma hanno la stessa mentalità violenta e sanguinaria.