Oggi i Radicali Italiani hanno presentato in Corte Suprema di Cassazione una richiesta di referendum per parti separate rispetto al Disegno di legge Renzi – Boschi di revisione costituzionale e due richieste di referendum parziali su due aspetti specifici: la riforma dell’istituto referendario (l’Articolo 75 della Costituzione) e le modalità di elezione e di composizione del Senato (l’Articolo 57).
L’assunto è di quelli semplici. Andare a esprimere il proprio giudizio sull’intero «pacchetto» di riforme costituzionali con un sì o con un no, è solo un plebiscito. La richiesta è stata presentata dal segretario di Radicali italiani, Riccardo Magi, e da altri sottoscrittori, tra cui il costituzionalista Fulco Lanchester e l’ex segretario Marco Staderini.
«Questa iniziativa – ha detto Magi – e la successiva raccolta di firme, è stata intrapresa con la volontà di evitare che il Paese si divida su una Guerra Santa. Il primo obiettivo è garantire la libertà di voto e di scelta, basata sulla possibilità di discernere». Per raccogliere le 500mila firme necessarie a questa modifica del referendum i radicali si appellano al «mondo accademico e alla società civile», ma anche ai parlamentari. Infatti in base all’articolo 138 della Costituzione le richieste possono essere sostenute anche da un quinto dei deputati o dei senatori o da cinque Consigli Regionali. «L’alternativa «alla libertà di scelta e di voto dei cittadini è il bonapartismo» spiega il costituzionalista Fulco Lanchester, con una nemmeno tanto velata frecciata all’indirizzo di Palazzo Chigi, il cui inquilino oscilla sta trasformando il referendum costituzionale in un ricatto politico «se non vince il sì me ne vado».
Anche Roberto Speranza, leader della minoranza dem, vorrebbe meno personalismi ma soprattutto far cadere l’argomento referendum, almeno fino a spoglio avvenuto delle prossime amministrative. Altra frecciata arriva dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
Piercamillo Davigo ribadisce che è «lecito» che un giudice si schieri nel referendum. «Altra cosa è agire in gruppi – spiega – e il nostro codice etico che lo vieta».