di Palmira Mancuso – Autore del libro-inchiesta IL FENOMENO MAFIOSO che prende in esame il Caso Messina, Marcello La Rosa è un operatore in servizio al gabinetto provinciale di polizia scientifica e negli ultimi anni studia la mafia dello Stretto. Lo abbiamo intervistato per approfondire attraverso la sua esperienza alcuni aspetti emersi dalla recente operazione antimafia, che segna il passo nella lotta alla criminalità organizzata nel nostro territorio.
L’aspetto più importante dell’operazione matassa è la “certificazione” che Messina ha una propria identità mafiosa, che nulla ha da spartire con Barcellona o con la vicina Calabria. Di questa “mappa aggiornata” cosa l’ha maggiormente colpita e quali sono le più evidenti differenze con l’organizzazione barcellonese? Le Famiglie criminali Messinesi hanno una propria e strutturata identità mafiosa, emancipata ed autonoma dalle realtà circostanti di Barcellona e della Calabria, la differenza storica tra le due realtà regionali si concretizza sul diverso modulo familiare-organizzativo, quella siciliana si può definire complessa, alla base ci sono le famiglie, la parentela ha un ruolo primario ma l’affiliazione va oltre il quadro parentale, tanto che il ruolo di comando non è ereditario, l’organizzazione si può definire piramidale-composta basata sul continuo arruolamento di nuovi adepti, la ‘Ndrangheta, invece, ha un organico numericamente ridotto rispetto a Cosa Nostra e si basa sulla struttura familiare vera e propria.
La ‘ndrina a base familiare è il segreto del successo della ‘ndrangheta sul piano criminale e della sua forza attuale rispetto a tutte le altre formazioni mafiose, questo spiega perché ci sono pochissimi collaboratori di giustizia e poche informazioni sui clan calabresi, è intrinseco in questo ragionamento il concetto di gerarchia in senso paterno-patriarcale, c’è una continuità tra la famiglia naturale e la famiglia mafiosa.
La mafia messinese non è altro che un restyling del modello calabro, da cui importa lo stile, la struttura e da cui eredita perfino i riti e le qualifiche. Purtroppo c’è una tendenza diffusa a sminuire la realtà peloritana che per certi aspetti è più complessa e difficile da decriptare, a causa, soprattutto, della rete massonica con cui si intreccia.
Comprare voti attraverso pacchi di pasta, 50 euro o la promessa di un’assunzione (almeno trimestrale) è un fenomeno tristemente noto. Sentirlo però confermare dal procurato capo Guido Lo Forte che cosa le ha suscitato? La teoria di Edwin Sutherland sulle associazioni differenziali afferma che l’idea criminosa viene appresa per trasmissione culturale, preferibilmente da una subcultura criminale, per questo motivo, interessati direttamente al fenomeno sono in modo particolare i quartieri periferici, dove si palesa in maniera più plateale la cultura dell’esibizione della forza e vi è una sorta di alfabetizzazione al crimine che punta sul carisma dei capi.
Tali capi nel periodo delle elezioni diventano riferimento necessario, questo è il momento in cui due mondi per certi aspetti diversi e distanti si uniscono, si combinano fino a compromettersi irrimediabilmente. Da un lato ci sono i clan la cui prerogativa principale è il controllo del territorio, mantenere “l’ordine” nelle piazze, sulle strade, una missiva dimostrativa che rappresenta insieme forza e predominio, ma che allo stesso tempo trasmette fiducia e sicurezza ai concittadini, rappresentando, anche, il punto di riferimento nel momento del bisogno, l’Antistato che si sostituisce allo Stato. Eric Hobsbawm racconta che: «ai deboli –contadini e muratori- la mafia offriva quantomeno qualche garanzia».
D’altro c’è il potere, la gestione ufficiale del pubblico e la responsabilità delle casse comuni. Le organizzazioni criminali nei periodi elettorali si trasformano in macchine da guerra politiche, sono vere e propri catalizzatori di consenso anche se è bene ribadire che non essendo un partito e non avendo una vera e propria ideologia politica, la loro influenza elettorale prescinde dagli input dottrinali, per cui le cosche sono capaci di fare accordi con chiunque, riuscendo senza problemi a dirottare il loro bagaglio-voti verso qualsiasi partito o lista civica.
Le clientele politiche invece sono cose diverse in modo particolare nei contesti di crisi e disperazione, l’indifferenza e l’ignoranza permettono di ottenere facili consensi con il minimo sforzo, alla base c’è sempre un disinteresse e un bassissimo senso civico ma manca l’elemento della forza intimidatrice che implicitamente porta con se l’invito rivolto da un boss, fa comunque specie che ancora oggi si debba prendere coscienza che basti cosi poco per svilire e umiliare le istituzioni.
Nella storia della lotta alla mafia, questa operazione che posto ha e quali potrebbero essere le “reazioni” delle nuovissime leve? L’operazione “Matassa” non è altro che la conferma della storia che inesorabilmente si ripete, vengono zittiti i detrattori dell’analogia Messina-Mafia che tanto si indignano quando se ne parla, ricordo l’imbarazzo di molti all’ultima esternazione dell’assessore Eller, secondo i quali doveva chiedere scusa e sottoporsi alla gogna di piazza per la spregevole calunnia, la verità è che siamo assuefatti dall’olezzo che inebria l’aria cittadina, tanto da non rendercene più conto. E’ possibile che deve essere un attore esterno, non abituato a queste dinamiche, a sottolineare ed evidenziare che qualcosa nell’ambiente non va?? Fin quando non prenderemo atto che viviamo in una città malata, come il paziente che rifiuta la diagnosi, sarà difficile intraprendere la strada della guarigione.
Secondo lei l’omicidio De Francesco ha segnato la fine della “pax” tra le famiglie della zona sud? Per un evidente conflitto professionale non posso esprimermi su indagini in corso o su processi in atto, le posso dire però che la città nell’ultimo ventennio ha raggiunto un equilibrio abbastanza consolidato, in questo periodo di pace le organizzazioni cittadine si sono evolute e specializzate. Le inchieste degli ultimi anni hanno permesso di indicare la zona di Messina come epicentro di produzione e spaccio per le realtà circostanti, infatti in città è stato trovato il laboratorio chimico del clan di Mangialupi, egemone per le attività di spaccio, in cui si confezionavano i panetti di cocaina dopo esser stati raffinati e tagliati, per cui Messina non solo non è subalterna ma anzi è riferimento per le altre organizzazioni criminali.
Nel decennio in cui si sono susseguite le guerre di mafia sull’asfalto sono state rinvenute circa 200 vittime, credo che questo omicidio, come il tentato omicidio di Ferrara al Cep di poco tempo fa, non abbiano fatto saltare gli equilibri tra i clan, ma siano dei regolamenti di conti atti a stabilire e rinforzare i ruoli di potere, ma è chiaro a tutti che basta poco a incrinare i rapporti tra le consorterie che inevitabilmente si potranno ristabilire solo col sangue.
Solamente ai più ingenui, soprattutto nei periodi di pace mafiosa, il problema appare invisibile o inesistente, ma questa impercettibile presenza non deve mai far abbassare la guardia, perché la storia insegna che le associazioni criminali si sono sempre rigenerate, così come la parte marcia della classe politica. Noi tutti abbiamo il dovere di vigilare e denunciare il mondo sommerso in cui affoga la nostra dignità, la nostra speranza, il nostro futuro. La rivolta morale può iniziare solo dai cittadini, noi siamo gli unici arbitri del nostro futuro.
Marcello La Rosa sarà presente alla tavola rotonda sui sistemi mafiosi a Messina, organizzata il prossimo 20 maggio dal centro culturale Bibliò Attilio Manca alla Libreria Feltrinelli alle 17. Ad intervenire sul tema “La Mafia Puzza” saranno anche Giacomo Di Girolamo e il procuratore della Repubblica Sebastiano Ardita ~ Modera Vincenzo Bonaventura.