“Siamo stati genitori di un angelo meraviglioso che ci ha donato e ricoperto d’amore ogni istante della nostra vita”. Giuseppe Tortorella di anni 20. Ad esequie avvenute ne danno il triste annuncio il papà, la mamma, il fratello, la sorella, i nonni, gli zii, i cugini, gli amici e i parenti tutti. Una Messa sarà celebrata oggi alle 15,30 nella Chiesa di San Luigi – Camaro San Luigi.
E’ comparso così un necrologio sulla Gazzetta del Sud, il quotidiano cittadino, che, dopo aver raccontato sulle pagine di cronaca di come il Questore abbia vietato funerali pubblici per l’uccisione di Giuseppe De Francesco, ha veicolato un messaggio preciso, che come spesso è accaduto in Sicilia, appare un ambiguo segnale del rapporto tra mafia e informazione nella nostra isola.
E’ infatti innegabile che la pubblicazione di un simile necrologio contiene in se un messaggio, di quelli che il buon Saviano potrebbe spiegare nelle sue “traduzioni” dal gergo mafioso. Il nome che infatti compare non è quello anagrafico, ma quello di Tortorella: dunque la precisa volontà da parte di un esponente di spicco della criminalità organizzata, oggi in carcere per una condanna definitiva, di manifestare pubblicamente il legame paterno nei confronti del ragazzo ucciso. Un segnale di ribellione nei confronti dello Stato, che mentre continua ad indagare, non può evitare che si celebri un funerale “senza bara” dal sapore della sfida.
Certo, si dirà, la società che si occupa delle inserzioni sul giornale che avrebbe dovuto fare? E con quale motivazione avrebbe dovuto rifiutare l’inserzione? Il necrologio, però, contiene in se un pericoloso e prepotente messaggio, che siamo chiamati a decifrare. Ovvero che, nonostante la carcerazione, Tortorella non ha perso il potere che ne ha fatto un riferimento nel rione Camaro, dove un muro di omertà rende difficile le indagini sulla mano che ha sparato, e sul movente di un omicidio che potrebbe aprire una nuova stagione di sangue e di vendette.
Un segnale di forza da non sottovalutare, indirizzato a nemici pubblici e privati da chi l’ha commissionato e pubblicato attraverso il maggiore organo di stampa cittadino. Poche righe che segnano una grave sconfitta per chi lotta ogni giorno per ribadire come Messina non è affatto la città babba, e che la mafia non si ferma a Barcellona.
Resta difficile non pensare ai Casamonica e a Riina da Vespa. Il confine tra la complicità e il dovere di cronaca, tra il diritto di omaggiare il proprio defunto e il dovere di stare dalla parte di chi lotta contro la mafia, diventa sempre più sottile.
Resta l’inquietudine di leggere con amarezza una palese beffa di quegli ideali per i quali c’è chi lotta ogni giorno e che molti hanno già pagato con la vita. (@PalmiraMancuso)