Maxi frode fiscale: indagata Credit Suisse. Nella “black list” anche Francantonio Genovese

Credit Suisse Ag è finita nel mirino della magistratura per aver agevolato oltre 13 mila evasori fiscali. La banca svizzera con sede a Zurigo è, infatti, indagata a Milano per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti nell’ambito di un’inchiesta, aperta da tempo, su una presunta maxi-frode fiscale che sarebbe stata realizzata attraverso false polizze assicurative e che avrebbe permesso a clienti italiani di portare soldi all’estero e di non dichiararli al Fisco. Tanto che, ormai da mesi, il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, i pm Gaetano Ruta e Antonio Pastore e il Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle stanno indagando su operazioni effettuate tra il Liechtenstein e le isole Bermuda, portando avanti una serie di complesse verifiche su 13-14 mila persone che avrebbero trasferito su conti esteri circa 14 miliardi di euro.

Gli inquirenti hanno ipotizzato i reati di frode fiscale, ostacolo all’attività di vigilanza, riciclaggio e abusivismo finanziario, mentre il gruppo bancario è indagato per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, la 231 del 2001. L’indagine era scattata a metà dicembre 2014 con una serie di acquisizioni di documenti e sequestri di carte. Un blitz nel quale gli investigatori avrebbero rintracciato anche una sorta di ‘manuale aziendale’ con istruzioni ai funzionari per aggirare i controlli.

FRANCANTONIO GENOVESE NELLA “BLACK LIST” 

Un anno fa, poi, era emerso che la Gdf stava lavorando su una lista di oltre 350 nomi di clienti di Credit Suisse (a cui, tra l’altro, l’Agenzia delle Entrate aveva mosso contestazioni in sede tributaria) e che tra loro era stato individuato anche il deputato, prima del Pd e poi di Forza Italia, Francantonio Genovese, già finito in carcere per truffa e frode fiscale nell’inchiesta cosiddetta ‘Corsi d’oro’ dei magistrati di Messina. Genovese avrebbe depositato alla Credit Suisse 16 milioni di euro in polizze vita, uno dei principali strumenti di credito commercializzate in Italia dagli agenti dell’istituto svizzero. Una evasione fiscale in piena regola, quindi, per la giustizia italiana. Quando nel 2015 il coinvolgimento di Genovese nell’inchiesta divenne pubblico, il suo legale spiegò che si trattava di somme “detenute all’estero sin dai primi anni ’70 rispetto ai quali l’onorevole Genovese ha già da tempo avviato contati con l’Agenzia delle Entrate per chiarire la propria posizione”. Il riferimento era ad una “segnalazione di operazione bancaria sospetta – scriveva allora il Corriere della Sera –  arrivata da Montecarlo, secondo la quale fondi di importo consistente per l’ammontare complessivo di 10 milioni di euro sono stati trasferiti su un conto esistente presso un intermediario monegasco e intestato alla società panamense Palamrich Investimenti S.A. riconducibile a Genovese e sua moglie. Questi soldi arriverebbero dal Credit Suisse e sarebbero legati all’incasso di una delle finte polizze accese alle Bermuda per celare patrimoni al fisco”

credit suisseGli investigatori della Guardia di Finanza e della Banca d’Italia hanno scoperto che buona parte dei 14 miliardi depositati all’estero sono stati dirottati in polizze vita definite dagli investigatori “di copertura”.

Si tratterebbe di circa 8 miliardi di euro investiti da quattromila italiani in polizze unit linked del Credit Suisse Life & Pension Aktiengesellschaft (Cslp). Il meccanismo utilizzato era semplice e collaudato. I gestori del Credit Suisse facevano sottoscrivere ai clienti italiani le polizze che venivano vendute attraverso due società domiciliate in Liechtenstein e alle Bermuda. Le due società poi – secondo le risultanze delle indagini – retrocedevano tutte le somme al Credit Suisse ed era la banca svizzera a occuparsi della gestione totale dei fondi.

LA DIFESA DI CREDIT SUISSE

Credit Suisse Ag, intanto, in merito all’indagine, si limita ad affermare che le sue “attività con clienti privati sono sistematicamente concentrate su patrimoni dichiarati”.Il gruppo, ha spiegato un portavoce da Zurigo, ha “chiare regole interne e processi per assicurare che si conduca il lavoro in accordo alle leggi in vigore in Italia”. In relazione, poi, alla ‘voluntary disclosure’ “approvata dal governo italiano nel 2014 – ha aggiunto – Credit Suisse ha immediatamente chiesto ai propri clienti di fornire prove per dimostrare di essere in regola dal punto di vista fiscale. Questo processo è stato virtualmente concluso”.

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