di Simone Bertuccio – Oggi voglio parlare di storia dell’architettura. Non ne ho le capacità forse ma lo faccio lo stesso. Però attenzione, perché se dico di non averne le capacità lo faccio perché probabilmente, vista la noncuranza con cui tantissimi siti storici di Messina vengono trattati, non sono allo stesso livello di costoro.
Nella parola “Costoro” però non ci sono persone specifiche ma bisognerebbe andare molto a ritroso nel tempo e capire per quale motivo Messina sia ridotta così. Sì, lo so, è una frase che scrivo sempre, inesorabilmente, ma è proprio questa incazzatura che mi permette di farmi sempre domande, di non demordere mai, di credere imperterrito nella mia città. Mi chiedo sempre tutto, una miriade di volte. E non importa se tutto ciò che noto, tra parcheggi in doppia fila, manti stradali ridotti come se fossero sotto effetto di bombardamenti da parte di caccia Lockheed Martin/Boeing F-22 Raptor, rifiuti gettati per la strada come se tutto il perimetro cittadino fosse un’immensa discarica, auto-discoteche, si ripresenta con una cadenza normale – perché è normalità -. Mi chiedo sempre “Perché” ed ovviamente risposte ne trovo poche. Tra le stravaganti idee del cittadino messinese, si aggiungono quelle delle amministrazioni che non riescono a stare al passo coi tempi. Tempi dettati dall’incessante crescita della civiltà della popolazione dello Stretto.
Dico sempre a me stesso che per iniziare a vedere qualcosa di buono, in questa città, non basterebbe un messia con un solo mandato. Indipendentemente dalle cose giuste che un primo cittadino possa fare, ci vorrebbero almeno quindici anni di buona amministrazione per vedere almeno un barlume della luce in fondo al tunnel. Questa non è una questione politica né tantomeno partitica, qui si tratta di buon senso.
Il messinese sembra sempre alla ricerca del messia di turno che, autoproclamatosi tale di campagna elettorale in campagna elettorale, si cuce bene addosso l’abito di Salvatore della Patria. Di elezioni in elezioni si sentono slogan dai riecheggianti significati simili al “Sistemo tutto io se scegli me” ma quello che mi vien da pensare è che se tutti questi amministratori sono comunque stati scelti perché “Sistemavano tutto loro”, com’è che siamo ridotti così? È una domanda semplice e forse troppo banale pure per me, che da qualche anno ho superato il quarto di secolo e non posso mica conoscere come Messina fosse negli anni settanta. Ma una risposta ci deve pur essere.
Ho sempre creduto che un popolo si evolve nei modi in cui racconta la propria storia che è, a sua volta, lo scrigno dentro cui risiede tutta la sua cultura. E con cultura ci metto dentro tutto: da quella culinaria con gli arancini e i pidoni, a quella artistica, musicale, naturalistica… Tuttavia non ho alcun timore a dire che un popolo che non conosce la propria cultura è un popolo senza identità.
Mi piace molto camminare a piedi e quando posso parcheggio l’auto in zone isolate ove non vi sia il rischio di ritrovarsela incastrata tra auto in seconda e terza fila. Sto praticamente sempre con lo sguardo rivolto in alto, a guardare gli ornamenti delle balconate di molti palazzi, a cercare di catapultare il pensiero su come fosse una determinata via qualche tempo fa, a cercare di scoprirne alcune incisioni sulle facciate – ce ne sono tante e di bellissime -, insomma cerco di scoprire qualche preziosità da queste piccole cose. Probabilmente può capitare che mentre pensi questo in modo molto romantico vai a sbattere contro uno scooterone parcheggiato sul marciapiede ma poco importa perché sei così obnubilato da questa tua voglia di scoperta che fai come se nulla fosse.
Tante cose però non possono essere scoperte passeggiando ma si ha bisogno di un mezzo di trasporto.
L’esempio dei Forti Umbertini potrebbe fare al caso nostro ma non voglio scrivere, almeno questa volta, su argomenti su cui scrivono tutti. Potrei parlare per esempio di Castel Gonzaga, uno dei siti architettonici più importanti del meridione ma anche qui glisserei perché è tanta la rabbia che probabilmente la Direttora di questa testata potrebbe non farmi scrivere altri pezzi.
Glissiamo, quindi, anche qui.
Parlavo di identità, poco fa, e di come un popolo debba prima conoscere la propria cultura in modo da svilupparne una. A Messina il percorso, come sempre, sembra inverso. Amo molto l’arte, amo molto la cultura e non c’è auto in seconda fila che mi fa arrabbiare quanto la disattenzione culturale che un popolo ha per se stesso. Ciò lo si nota da come considera tutto ciò che ha attorno: dalle fontane, dai siti storici, appunto. In questo caso sembra che Messina faccia, come ho detto, il percorso inverso. Sembra che il cittadino messinese voglia tendere all’anno 0, quello in cui iniziò tutto, col sistematico tentativo di dimenticarsi chi era, il messinese, da dove derivi, cosa fosse la sua terra. Forse è un’autodifesa dovuta all’irrecuperabilità di ciò che l’ha resa grande – tanto grande – ma credo che qui non ci colpi tanto lui, il messinese. In questo caso il suo atteggiamento è un risultato.
Renzo Piano, ospite della trasmissione “Vieni via con me” nel 2010, disse che «l’arte ha sempre acceso una piccola luce negli occhi di chi la frequenta» e mi vien da pensare, vedendo tantissimi siti storici qui a Messina, che forse si è preferito tagliare la corrente o far puntare la luce altrove.
Qualche giorno fa mi trovano nella zona di San Filippo, nei pressi dello Stadio San Filippo. Ho cercato di individuare, seppur da lontano, un vecchio Monastero situato proprio in quelle zone. Si tratta del Monastero di San Filippo il Grande. Lo visitai durante una delle giornate del FAI nel periodo in cui andavo a Liceo e già allora non riuscivo a capacitarmi di come un sito artisticamente e culturalmente così importante venisse lasciato a se stesso. Non sto qui a raccontarvi la pappardella storica sul valore di questa struttura. Vi basti sapere che il valore è immenso.
Basti pensare che qualche tempo fa, quando intervistai per un’altra testata giornalistica l’Assessore alla Cultura, questi, in merito al fatto se potessero esserci dei progetti a riguardo per la riqualificazione del suddetto sito, mi rispose con un semplice “No, non ci stiamo pensando”. Ve la racconto così, un po’ come fosse una chiacchiera da bar, per il semplice motivo che ci rimasi, lo ammetto, un po’ male. Quel “No, non ci stiamo pensando”, sembrava tuonare come una risposta normale. Come il cittadino messinese normale, con le sue abitudini normali. Come il parcheggiare in seconda fila, che è normale, gettare i rifiuti per strada, che è normale. Si tende sempre alla normalità che non è un attributo universale. La normalità è, invece, l’esatta configurazione del vivere quotidiano e di come, di giorno in giorno, ci viene palesato l’esatto modo di viverlo, il quotidiano.
A cosa potrebbe andare il pensiero adesso? Alla mancanza di fondi, certo. Ma più che alla mancanza di fondi, sarebbe opportuno far perno sulla mancanza di pensiero. Il ricordo, la conoscenza, appunto. Elementi che, parafrasando Piano, accendono una luce negli occhi.
Il Monastero di San Filippo il Grande è solo uno dei tanti baluardi architettonici culturali che vi sono all’interno della nostra città ed è uno di quelli che potrebbe farvi pensare a come l’identità di questa città sia stata sepolta o forse nascosta in mezzo a delle erbacce in prossimità di una zona periferica della città, forse per non farci riflettere dentro il suo popolo che, rispecchiatosi in esso, potrebbe compiacersi troppo per ciò che è stato e, forse, vorrebbe tornare ad essere.