Il Tribunale di Messina ha rinviato alla Corte Costituzionale l’Italicum, facendo propri 6 dei 13 motivi di incostituzionalità proposti dai ricorrenti. La nuova legge elettorale è stata impugnata con una serie di ricorsi analoghi, depositati in contemporanea nei tribunali dei capoluoghi dei distretti di Corte d’appello, tra cui Roma, Milano, Napoli. Nel mirino, tra le altre cose, premio di maggioranza e ballottaggio. I giudici siciliani, come i colleghi togati di altri 17 capoluoghi, erano stati chiamati in causa dal gruppo avvocati anti-Italicum guidati da Felice Besostri e da Vincenzo Palumbo.
A Messina, le udienze pubbliche in tribunale si erano svolte il 5 e il 12 febbraio. E dopo 12 giorni è arrivata l’ordinanza che apre la strada per un esame di costituzionalità dell’Italicum da parte della Consulta.
L’Italicum è stato approvato dal Parlamento il 4 maggio scorso e la sua entrata in vigore è prevista per luglio 2016. Il ricorso presentato a Messina è uno dei 18 depositati presso diversi tribunali italiani. Un’iniziativa nata nell’ ambito del Coordinamento democrazia costituzionale, in cui si è costituito un gruppo di avvocati anti-Italicum coordinati dall’ avvocato Felice Besostri, già protagonista della battaglia contro il Porcellum, poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta. A curare il ricorso presentato a Messina, l’avvocato e vice-coordinatore del pool, Enzo Palumbo.
Sono sei i motivi per cui il giudice del Tribunale di Messina che ha deciso di rinviare l’Italicum alla Corte Costituzionale e fra questi centrali sono quelli che riguardano il premio di maggioranza e la soglia minima. Nell’ordine i dubbi di costituzionalità riguardano: il “vulnus al principio di rappresentanza territoriale”; il “vulnus al principio di rappresentanza democratico”, punto connesso col premio maggioranza; la “mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio”; la “impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati”, questione legata ai capilista; le “irragionevoli soglie di accesso al Senato residuate dal Porcellum”; la “irragionevole applicazione della nuova normativa limitata solo alla Camera dei Deputati, a Costituzione invariata”, e non al Senato.
Tra le sedi giudiziarie presso cui i ricorsi sono stati depositati, oltre a Roma, Milano, Napoli, anche Venezia, Firenze, Genova, Catania, Torino, Bari, Trieste, Perugia. Tra le previsioni della legge che sono state impugnate, figurano il premio di maggioranza assegnato alla lista che supera il 40%; il ballottaggio senza soglia previsto invece tra i due partiti più votati se nessuno supera quota 40%; la contraddizione ravvisata nel fatto che chi raggiunga, per ipotesi il 39,9% dei voti deve comunque andare a ballottaggio; le norme sulle minoranze linguistiche che non consentono – secondo i ricorrenti – la rappresentanza di tutte le minoranze riconosciute, ma solo di alcune. (ansa)