“La presenza di alcune frasi in diecimila pagine che ha scritto il Tomasello in cui si riscontra qualcosa è assolutamente all’ordine del giorno. Tante volte la frase che l’allievo copia o che il professore copia… questo è una sciocchezza”, così parlava ai microfoni delle colleghe di TempoStretto, appena qualche giorno fa, il preside di Scienze Cognitive, professor Antonino Pennisi, commentando l’arcinota vicenda che ha interessato un professore del suo dipartimento.
A mettere in piazza la faccenda, che interessa il figlio dell’ex magnifico rettore dell’ateneo di Messina, ci ha pensato il professore associato di Storia della Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Giuseppe Fontanelli: un nome noto in ambito accademico e, da qualche tempo, divenuto celebre anche al di fuori del contesto universitario per via del famigerato caso Tomasello di cui si parla da settimane e che rappresenta l‘ennesimo capitolo di una saga, quella dell’Università nostrana, che non sembra voler cessare di destare scalpore.
La posizione del docente, che avrebbe rinvenuto negli scritti del collega numerosi stralci riconducibili ad opere del più anziano professore e maestro Giuseppe Amoroso, è ormai nota ai più, specie dopo il servizio de Le Iene realizzato in proposito.
Dalla messa in onda della puntata in cui l’inviato Gaetano Pecoraro ascoltava le parti interessate, il dibattito in città (e non solo) si è fatto largo tra le vie di Messina e nei meandri dei social network. In tanti hanno preso la parola e detto la propria rispetto alla situazione. Tra i tanti interventi divulgati a mezzo stampa, tre sono certamente quelli che hanno avuto maggior eco, tutti accomunati da una posizione di stampo filotomaselliano, per così dire. Si tratta del sociologo Pietro Saitta, dello scrittore Giuseppe Pispisa e del già citato professor Antonino Pennisi.
Tre persone “accomunate dallo stesso mistificante rapporto tra ‘fatti’ e ‘opinione’”, così li etichetta il professore Fontanelli, nelle sue dichiarazioni rilasciate in esclusiva al nostro giornale.
“E’ risibile, come fa il sociologo Saitta, eludere il problema specifico di questa vera e propria terra dei fuochi della critica letteraria, considerando questo caso come un paradigmatico capitolo di una rinnovata ‘questione meridionale’”, commenta il docente che ha messo sotto la lente di ingrandimento la speculare corrispondenza tra i testi del collega associato e quelli del prolifico Amoroso.
“Non posso esimermi dal sottolineare, inoltre, l’ aporia di fondo delle disquisizioni di Pispisa. Egli finisce per nascondersi dietro l’Autorità quando questa serve per mantenere in piedi il diagramma dei suoi equilibrismi concettuali (vale a dire i fatti di una Commissione che non sbaglia), ma nel contempo chiederebbe che questa stessa Autorità possa assistere impassibile o estasiata quando si ipotizza il sovvertimento futurista, dadaista o la campitura surrealista dell’operazione tomaselliana”.
Le affermazioni del Fontanelli, seppur in professorese (!), sono chiare risposte a quanti sin qui hanno espresso il proprio endorsement a Tomasello; risposte fornite in nome del desiderio di difesa di quella correttezza che, ha sostenuto in più di un’occasione, è sempre stata l’arkè del suo agire. Una denuncia, quella che ha portato alla ridiscussione delle credenziali di Tomasello ad opera del MIUR, che sarebbe stata mossa, dunque, da ragioni etiche e culturali. Bisogna infatti ricordare che l’abilitazione oggetto di interesse passa da un esame dei requisiti dei candidati ma non è fondato su parametri comparativi: in buona sostanza e, per completezza d’informazione, va puntualizzato che l’idoneità di uno non esclude quella di un altro.
“Penso sia intuitiva per tutti la differenza che corre fra l’azzardo estetico del saccheggio delle fonti, con la ‘gioiosa’ finalità di operare artisticamente, e dall’altro lato il presentare questa performatività come cifra di studi scientificamente accreditati. Sta qui il vero paradosso, per riprendere la titolatura a effetto dell’intervento di Pispisa. Al quale mi spiace segnalare che almeno in un caso è stato inconsapevole vittima di questa mirabolante performance: la sua recensione al libro di Tomasello su Delfini apparsa su “Oblio” (diretta da N. Merola, presidente della commissione per l’Abilitazione nel mio settore concorsuale), come svelano inesorabilmente i passi citati, è in realtà una recensione al Brancati di Amoroso (p.121) e al Tecchi dello stesso (p.25).
‘Sberleffo’ degno di un suo romanzo più che di una rivista scientifica”.
Fontanelli ribatte punto per punto a quanti hanno sostenuto la legittima originalità della produzione di Tomasello, non ultimo il direttore del dipartimento di Scienze Cognitive che ha riconosciuto nell’intervento de Le Iene “un’azione da squadrismo fascista”: “Di Pennisi, che, con grande stile, ha posto l’accento sulla mia mancata idoneità“, conclude con evidente piccata quanto delicata ironia, “vorrei solo dire che è tra i componenti del Senato Accademico che hanno avuto dettagliato elenco dei prelievi tomaselliani: riportarli alla memoria gli avrebbe forse fatto rivedere qualche conteggio…”.