di Saro Visicaro – Dal 1996 l’associazione Libera di don Ciotti celebra, ogni 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
Quest’anno sarà la città di Messina ad ospitare la manifestazione. Nel 1997 fu Niscemi, nel 1999 Corleone, nel 2004 Gela, il comune di Crocetta. Erano dodici anni quindi che la Sicilia non diventava, per una giornata almeno, simbolo dell’antimafia. Anche se attraverso le “carovane” nate nel 1994, volute dall’Arci, da Libera e da avviso Pubblico, la Regione diventava copromotrice dei viaggi organizzati.
Di questi ventidue anni di mobilitazioni, di grande coinvolgimento mediatico, di impegno, di progetti per l’educazione alla legalità, cosa rimane? Siamo più liberi dalle mafie? C’è maggiore giustizia sociale? Sembra proprio di no. I gesti simbolici e gli eventi periodici sono certamente importanti. Ma quello che manca è il gesto quotidiano e non simbolico, Quello che manca è la concretezza degli atti amministrativi, della trasparenza applicata e non evocata. La vera, unica formazione permanente è quella che scaturisce dal rigoroso rispetto delle regole. Dallo stato di diritto.
Che senso ha quando un sindaco, un politico qualsiasi, dietro un microfono o una telecamera inneggia alla legalità e poi, nella prassi, non interviene per impedire i piccoli come i grandi scempi quotidiani.
Bisogna quindi essere allarmati nel sentire da un magistrato serio come Leonardo Guarnotta che l’antimafia “non può servire per dare posti”. Oppure Luciano Violante che denuncia come “in troppi casi e per troppi anni l’antimafia sia stata usata per fare carriera.” Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e non serve neppure elencarli.
Messina è certamente città crocevia di mafie. Messina è certamente città di grandi affari che scaturiscono dal potere finanziario, dalle attività di intermediazione nei settori bancari e immobiliari. Non a caso questa è la base di partenza di un certo Michele Sindona e degli intrighi tra banche per speculazioni di ogni tipo. Non a caso qui, dopo il blitz di Castiglion Fibocchi del 1981, si scoprirono i numerosissimi nomi appartenenti alla P2 di Licio Gelli. Non a caso qui il “verminaio”, scaturito dalla uccisione del professore Matteo Bottari nel ’98, rimase ben custodito e archiviato. Non a caso la morte di un personaggio come Michelangelo Alfano fu rimossa dopo pochissime ore.
Più inchiostro certamente venne sprecato attorno alla questione dei tiratori della Vara e molto meno per i “tiratori” dei salotti bene.
Insomma sarebbe ora di dire basta con quei professionisti dell’antimafia che sono complemento del sistema mafioso. Professionisti nel senso che Sciascia voleva significare e non in quello interessato che altri vollero dare.