di Saro Visicaro – Ottocento cinquantamila metri quadrati. Ovvero 85 ettari. E, per essere ancora più chiari, circa 85 stadi di calcio, più grandi dell’impianto di S. Filippo, tutti messi in fila. E’ questa la superficie interessata al Piano Regolatore del Porto che inizia dal torrente Annunziata e arriva al torrente Portalegni. Di questa meravigliosa risorsa discutono, si fa per dire, amministratori improvvisati, oppositori acculturati e pirati navigati. Ognuno, per motivi e interessi suoi, ha un’idea “flessibile” del futuro di questo tesoro che, in buona parte, è demaniale. Cioè proprietà dei cittadini. Ma i cittadini, organizzati o meno, non possono decidere. Per loro, per noi, stanno decidendo i pifferai più o meno magici.
A qualcuno potrebbe allora essere utile conoscere bene il praticello dove piantare i fiorellini. Del grande prato verde, che esclude le aree di Marisicilia e Marinarsen, si occupò nel 1999 uno studio propedeutico al Piano regolatore elaborato dal Centro Universitario che si occupa di trasporti. Centro allora diretto dal prof. Elio Fanara. Quello studio immaginava la ripartizione in cinque zone dell’intera superficie. Una industriale – cantieristica, quella culturale della Cittadella, il molo Norimberga come attività commerciale trasportistica, un terminal crocieristico e un’area turistica con annesso porticciolo. La zona militare vera e propria, con 380 dipendenti civili e quella dell’Arsenale, che impiegava almeno 457 lavoratori civili, venivano in quella fase escluse.
Successivamente l’Autorità Portuale confezionò un Piano Regolatore “flessibile” aggiungendo questa denominazione creativa a futura memoria. Flessibile nel senso di quanti fiorellini piantare o di quanti cetrioli coltivare? Neppure l’immenso deputato Picciolo è riuscito a spiegarlo nella variopinta conferenza stampa organizzata lo scorso 28 gennaio dopo le sette firme che hanno suggellato il Patto palermitano.
Quello che è certo, ma che nessuno dice, è che il 18% degli 85 ettari attualmente occupati da impianti ferroviari dovranno sparire. E con essi i collegamenti ferroviari. Mentre di quel 20 % di superficie destinata alla cantieristica, che vedeva occupati i 400 dipendenti della Rodriquez fondata nel lontano 1887, cosa rimarrà? Rimarranno le ceneri di una gloriosa azienda e un immenso prato verde o, forse, solo tavoli verdi.
Insomma, nonostante lo scempio urbanistico della Falce e di tutto l’affaccio a mare, migliaia di posti di lavoro costituivano il serbatoio produttivo industriale, artigianale, impiantistico e trasportistico di Messina. Oggi, dietro le favole del verde pubblico e del miraggio turistico a conduzione monopolistica, si nasconde la disfatta economica dei cittadini senza città.
Sarebbe il caso che contro questo disastro annunciato qualcuno provasse a porre rimedio. Un’arma possibile sarebbe quella di un referendum di cui si facciano promotori coloro che non inseguono la musica dei pifferai.