C’era una volta la riforma Lupi sulle Autorità Portuali che muoveva proprio dall’esigenza di ridurle di numero e snellire e migliorare il sistema, adeguandolo a standard più europei. Poi il ministro è diventato ex ministro per colpa di un orologio di troppo e, al suo posto, è giunto Graziano Delrio il quale ha, di fatto, proseguito nella medesima direzione. Nel decreto di “riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali”, approvato qualche notte fa –travagghiaturi!– dal CdM, troviamo le novità della riforma che ci toccano direttamente.
Le Authorities passano dunque da 24 a 15, saranno governate da un presidente e un board ristretto, tagliando di fatto 270 poltrone perché i membri dei comitati -attualmente 336- diventeranno 70: 5 o 6 per ogni cda affiancati dal tavolo di partenariato della risorsa del mare, con funzioni consultive.
Fin qui tutto ok ma quando una testa deve cadere non può mancare il dibattito su quale debba rotolare. Il dato importante per Messina è che, com’era già nell’aria da tempo, verrà accorpata a Gioia Tauro. Insomma, la decapitata è, manco a dirlo, la nostra città. E dov’è la sorpresa?
Non appare contento (almeno a parole) il Presidente della Regione, Rosario Crocetta e, come lui, coloro i quali, dalla prima ora, hanno sostenuto le ragioni del no all’unione con l’Ente calabrese. Sarebbe quantomeno ovvio chiedersi, dunque, per quale ragione non si sia insistito per mantenere a Messina quella Authority che le è propria.
C’è chi ha gioito per la decisione del Governo, si pensi al presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone che ritiene sbagliato affezionarsi per campanilismo al mantenimento della governance e parla addirittura di un “arricchimento per la città aprendo grandi scenari di enorme potenzialità in chiave europea soprattutto”. Ma era davvero il campanilismo o invece una valutazione critica con conti alla mano che avrebbe dovuto evitare il verificarsi di una simile situazione?
Qualche perplessità (usando un eufemismo) permane. Andiamo per punti: architettura giuridica degli statuti delle due regioni assolutamente diversa; overlapping su competenze e giurisdizioni; documentata situazione di sofferenza del porto calabrese; competizione sulla tipologia di scali che vengono effettuati a Gioia Tauro e a Messina; gestione dei finanziamenti da richiedere o già ottenuti; condizioni finanziarie differenti dei due enti: Gioia Tauro, infatti, è in deficit a differenza di Messina che ha un attivo di 82 milioni, come il Presidente Antonino De Simone, in passato, aveva evidenziato. Ma, per l’appunto, “il passato è passato” e, il numero uno (ancora per poco) dell’AP messinese non vuole guardarsi indietro. “Bisogna andare avanti adesso. Sono un servitore dello Stato e il Governo centrale ha assunto una posizione chiara. Adesso è essenziale remare tutti nella stessa direzione con il massimo impegno”, commenta il tecnico campano. “E’ un progetto ambizioso e c’è poco tempo per attuarlo. Per questo è essenziale farlo partire con i migliori auspici”. Un’autorità portuale sul territorio è un valore aggiunto, questo De Simone lo ha sempre sostenuto ma oramai “quel che è fatto è fatto. Dobbiamo dare tutti il massimo”, esorta sé e gli altri attori interessati.
La decisione del Governo, evidentemente, è stata presa senza badare troppo alle istanze manifestate dai rappresentanti eletti dai cittadini. Il presidente della provincia di Reggio Calabria,Giuseppe Raffa, ha espresso la sua contrarietà, parlando di beffa, e di pasticciata soluzione; così come anche il sindaco gioise Giuseppe Pedà, decisamente in disaccordo con la logica dell’accorpamento. Il primo cittadino calabrese, nel luglio scorso, insieme ai deputati regionali siciliani Nino Germanà, Marcello Greco e Beppe Picciolo, ha scritto al ministro Delrio al fine di scongiurare l’accorpamento delle due Authorities.
“La città dello Stretto è caratterizzata da particolarissime peculiarità che le sono proprie e, a partire dal traffico passeggeri che la colloca al primo posto tra i porti italiani e all’ottavo nel contesto comunitario, possiede delle caratteristiche di unicità che, a nostro avviso, vanno tenute in attenta considerazione”, scrivevano. “Secondo i dati 2014 Eurostat, Messina, con 8 milioni e 126 mila passeggeri, si aggiudica un primato unico , rappresentando l’Italia negli studi statistici dell’UE”.
Al di qua dello Stretto altre posizioni espresse sono state spesso tendenzialmente di rassegnazione: buona parte della nostra rappresentanza (con in testa Palazzo Zanca) ha pensato di appiattirsi su preferenze filogioiesi ritenendo l’ipotesi di essere fagocitati da Gioia Tauro, più idonea come chance rispetto a quella di legare a tripla mandata Messina-Milazzo a Catania e Augusta. Ma perché mai non sostenere le ragioni dell’autonomia? La nostra città non avrebbe forse potuto vantare prerogative e numeri importanti al punto di renderla dominante come candidata rispetto a molte altre AP, quelle di Catania, Augusta e di Gioia Tauro comprese? Numeri tali per divenire porto core?
“Il porto di Messina, assieme a quello di Milazzo, non solo è sede di una AP con livelli di traffico superiori al porto di Augusta e caratteristiche strategiche rispetto al tema della continuità territoriale, ma è anche inserito in un contesto geografico unico in Italia come lo Stretto di Messina attraverso il quale, ogni giorno, passano centinaia di navi con tipologie di traffico molto differenti”, scriveva qualche mese fa il deputato di AP, Vincenzo Garofalo.
Dilemma amletico: Augusta e Catania o Gioia Tauro? Ma dove sta scritto che sia Messina a dover andare con qualcun altro e non invece qualcun altro a venire con Messina, insomma?
Dopo la visita in città del sottosegretario Marco Minniti che sostenne di voler tutelare la città dello Stretto, nelle sue parole in molti avevano letto un messaggio di speranza per il futuro dell’ente nostrano. Ma evidentemente si trattava solo di una frase ad effetto, di quelle che lasciano tutto alla libera interpretazione.
Neanche sul litorale mamertino l’opzione dell’accorpamento è risultata particolarmente gradita. Il sistema gestito dall’AP di Messina e Milazzo rappresenta di fatto uno snodo di assoluta rilevanza internazionale oltre ad essere “il naturale e ovvio baricentro dell’area integrata dello Stretto che coinvolge le due realtà metropolitane di Messina e Reggio Calabria, da tempo considerate due sponde di una stessa grande realtà, per via dei comuni interessi socioeconomici”, ha sostenuto parte della rappresentanza messinese all’Ars, in tempi passati.
C’è stato anche chi ha espresso dubbi non di poco conto su questa “fusione” che secondo qualche critica attenta, potrebbe costituire un escamotage per mettere una toppa ai deficit dell’Ente di Gioia (con il denaro di quella messinese, in attivo), evidenziando che quello calabro è un “porto con molti problemi economici e anche di altro genere”. Di quale altro genere? La risposta la fornisce senza girarci troppo intorno la CSI, ovvero Container Security Initiative, organo della diplomazia statunitense che controlla i porti aventi relazioni di traffico con gli States: “Un porto controllato dalla mafia e così facilmente usato come punto d’ingresso di droga e armi è soggetto a diventare porta d’ingresso per materiali ben più pericolosi”. Sì perché quello di Gioia Tauro è ampiamente controllato dalla N’drangheta. A dirlo è un dossier stilato dalla Commissione parlamentare antimafia (mica pizza e fichi) nel 2008. Un report stilato appena un anno prima, inoltre, riportava numeri esorbitanti legati al narcotraffico: secondo quei dati, l’80% della cocaina che circola nei Paesi dell’Unione giungerebbe dalla Colombia, neanche a dirlo, proprio attraverso il porto della Calabria.
“Storie vecchie”, si potrebbe obiettare guardando a documenti che risalgono a dieci o cinque anni fa. Niente affatto: la storia è attualissima; così attuale che le pagine di cronaca ne sono zeppe. Sono notizia di pochi giorni fa le manette scattate per 14 appartenenti ad un clan della ‘Ndrangheta e un agente “infedele” che, secondo l’accusa, avrebbe fornito informazioni riservate sulle modalità di ingresso e uscita dei container dal porto di Gioia Tauro in modo da eludere i controlli.
Il giorno precedente, per non farsi mancare niente, i finanzieri di Reggio Calabria hanno sequestrato 168 chili di cocaina nascosta nel doppio fondo di un container in arrivo dall’Equador con destinazione Balcani. Avrebbe fruttato ben 31 milioni.
Basta fare una breve ricerca sul web per trovare informazioni sui vari clan di Rosarno, Piana di Gioia e dintorni che hanno, di fatto, dimostrato nel tempo di avere in questo disgraziatissimo porto il centro nevralgico del loro import-export.
E’ inevitabile porsi delle domande: se quello di Gioia ha un bilancio deficitario a differenza del nostro porto, se questa realtà è clamorosamente imbrigliata nelle maglie della ‘Ndrangheta, se il sistema Messina-Milazzo vanta numeri da primato, se non c’è accordo tra le istituzioni delle due sponde perché si crei questo apparentamento, se c’è -come c’è- una competitività tra le due realtà, per quale motivo si impone un tale matrimonio? E perché, ancora una volta, la testa che cade nella danza delle review di Stato è quella della nostra città?
Sarà mica responsabilità da attribuirsi ad una certa parte della politica, dallo spessore troppo sottile o che non ama fare gioco di squadra, preferendo la perenne campagna elettorale? La certezza è che certi sacchi -irragionevoli- a Palermo o Catania non verranno mai perpetrati. Ma lì, come altre volte evidenziato con rassegnazione, i rappresentanti si chiamano Orlando, Bianco che, da sindaci o parlamentari, l’autonomia del proprio territorio non l’hanno mai considerata in discussione. Da decenni invece, la tutela degli interessi dei messinesi, salva qualche eccezione, preferisce limitarsi alla scelta “del male minore”.
Come asseriva Travaglio, rifacendosi ad un vecchio detto catalano:” ci pisciano in testa e dicono che piove” e quel che è peggio è che glielo lasciamo fare!
Eleonora Urzì Mondo (@eleonoraurzi )