Il 23 dicembre è stata depositata dal Giudice Monocratico del Tribunale di Messina la parte motiva della sentenza sul caso “tenda”.
I due imputati, difesi agli avvocati Goffredo D’Antona del Foro di Catania, Guido Moschella e Pierluigi Venuti del Foro di Messina, erano accusati di resistenza al pubblico ufficiale, lesioni aggravate, oltraggio a pubblico ufficiale e rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale. Reati che si sarebbero consumati in occasione di un’azione di protesta contro il T.S.O., caratterizzata dall’apposizione di una tenda sull’aiuola antistante la sede centrale dell’Università di Messina.
Già dalla lettura del dispositivo si apprendeva che erano cadute le accuse di lesioni e di oltraggio e, per una degli imputati, anche quella di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale.
Ma nella motivazione il Giudice descrive altresì la condotta di resistenza in modo differente e, senz’altro, meno grave rispetto al capo di imputazione: i due non avrebbero, infatti, “spintonato” alcuno, ma semplicemente afferrato dai bordi la tenda.
Infatti, l’Ispettore Capo Marcello Vita, presunta parte lesa, avrebbe dato, secondo l’organo decidente, una ricostruzione “scientemente mendace” dell’accaduto, all’unisono con gli altri quattro agenti che hanno sottoscritto il verbale d’arresto contenente accuse poi smentite dalla visione del filmato prodotto dalla difesa.
Diversamente da quanto verbalizzato dagli agenti, non vi è stata – si legge in sentenza – una violenta spinta, né il precipitare dell’Ispettore contro una palma ed il consequenziale manifestarsi della lesione.
La descrizione della condotta ingannevole del Vita, in particolare, è connotata da toni fortemente negativi, specie nella parte in cui il Giudice reputa “tutt’altro che remota” la possibilità che l’Ispettore sia stato mosso dal perseguimento di un’utilità personale, ossia dell’eventuale congedo dal lavoro che lo stesso avrebbe potuto richiedere per aver subito un infortunio.
Di conseguenza, il Giudice di primo grado ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per valutare se nella condotta del Vita (e anche degli altri agenti del Corpo) possano ravvisarsi ipotesi di reato quali calunnia, falsa testimonianza e falsità commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico.