di Palmira Mancuso – Essere “precari” è ormai un dato generazionale. Intere fasce di popolazione, uomini e donne che oggi hanno dai quarantanni in su, sospesi nel limbo di un lavoro dalle grandi prospettive, ma senza sicurezza. Lavori “a contratto”, o a progetto, nella speranza che si possa rinnovare, nell’attesa dell’ennesima promessa da parte del politico di turno.
Diciamolo a parole chiare: il voto dei precari, il cui destino è in mano ad una convergenza tra interesse politico e sindacale, è stato sempre esposto al ricatto. Al do ut des.
Per questo, la notizia del piano di stabilizzazione dei precari di Palazzo Zanca, in tempi non sospetti, lontani da imminenti giochi politici, ma nel solco di un tentativo di amministrare serenamente una macchina incancrenita da anni di malagestio (evidente anche alla luce delle recenti inchieste e ai commissariamenti a cui è stato sottoposto il Comune tra un sindaco indagato e l’altro) ci appare come una svolta concreta.
Sottoposti al ricatto del precariato e della necessità di sopravvivere, infatti, spesso chi vuole lavorare regala la propria libertà in cambio di un “posto”, o si fa manipolare. E negli ultimi decenni Messina ha avuto molti esempi: dalle assunzioni “natalizie” ad opera dell’amministrazione Genovese a Messinambiente, alla manipolazione dei lavoratori dell’ex birrificio Triscele, che per il cambio di destinazione di quelle aree a favore di una datore di lavoro che non mantenne le promesse, manifestarono a gran voce spinti anche dai sindacati nell’aula consiliare.
La fragilità del lavoro rende inevitabilmente fragile il precario: e questo in tutti i campi. Dal giornalista pronto a mercificare la professione magari assicurando al politico di turno uffici stampa “occulti”, al musicista costretto ad accettare compensi da fame, alla commessa inserita col nuovo piano giovani che magari lavora molte ore in più di quelle pagate in busta paga.
Per non parlare dell’uso ricattatorio di alcune categorie di lavoratori, che hanno solo alimentato l’ascesa politica dei loro sindacalisti, assottigliando la credibilità della storica triplice, oggi al centro di polemiche anche sui propri bilanci (come si evince dalle ultime inchieste giornalistiche dell’espresso riportate in questo articolo del fattoquotidiano).
Ecco perchè la stabilizzazione a Palazzo Zanca ci appare un segnale di libertà ritrovata. Restiamo infatti convinti che in una società moderna non sia più possibile parlare di diritto al lavoro, piuttosto di lavoro come libertà.