Stiamo assistendo ad una nuova guerra, un conflitto che, come sostiene saggiamente Cludio Magris, non è la III Mondiale, ma la IV, giacché la precedente è stata ribattezzata Fredda ma era calda e bollente quanto mai: ha cambiato l’assetto geopolitico del pianeta ed è costata la vita di milioni di persone, molte delle quali civili inermi.
Ecco che va in scena la 4^ guerra mondiale, dunque, su un palco completamente nuovo, quello dei social network. Youtube è già pieno di video di bambini che strillano dopo l’offensiva francese e al contempo di esecuzioni ad opera di miliziani dell’Isis; venerdì notte le richieste di soccorso e i messaggi sugli attentati passavano da Facebook e Twitter.
La paura viaggia sul web e raggiunge gli occhi e le orecchie di noi tutti, occidentali privilegiati fino ad oggi, che improvvisamente ci lasciamo pervadere dal terrore come se fossimo rinchiusi in una stanza le cui pareti si avvicinano di secondo in secondo. Il rischio è evidentemente di restare schiacciati e allora dobbiamo trovare una scappatoia immediatamente. Per decenni abbiamo saputo che in quelle stanze c’era della gente: fratelli e sorelle che vivono al di là del mare, in terre antiche e non troppo lontane, ma abbiamo continuato la nostra routine senza battere ciglio e senza preoccuparci di tirarli fuori da quelle gabbie di morte lenta e sicura. Oggi, come nel 2001, sentiamo forte la puzza della minaccia e il panico ci prende al punto di dire le cose più assurde, di inneggiare alle soluzioni meno ragionevoli pur di uscire dalla stanza e lasciare che le pareti in movimento si infrangano l’una contro l’altra senza andarci in mezzo. Improvvisamente siamo tutti strateghi ed esperti di difesa: ognuno dice la sua pur senza averne la minima competenza.
A conti fatti, in cuor nostro, sappiamo che ad armare i folli siamo proprio noi; siamo consapevoli del fatto che ci sono interessi cosiddetti superiori a reggere e alimentare il potere di questi portatori di morte e distruzione. Lo sappiamo e ce ne infischiamo da sempre.
Il sillogismo è semplice e porta ad una conclusione amara ma vera: se è l’Occidente a fare il buono e il cattivo tempo, se è il nostro mondo a finanziare, a commerciare in armi, ad acquistare petrolio al mercato nero, finanche a spianare la strada quando serve a questi gruppi, va da sé che i morti di Parigi sono colpa nostra, responsabilità della Francia quanto -se non più- dei killer che hanno compiuto la strage al Bataclan (simbolo di una notte di terrore).
La contrapposizione non è tra buoni e cattivi perché no, noi non siamo i buoni. Ma abbiamo l’obbligo di difendere gli innocenti. E innocenti non sono soltanto gli europei che stanno seduti al caffè o guardano una partita, o i russi in volo dall’Egitto; innocenti sono le donne giustiziate per strada a Raqqa colpevoli di aver incrociato lo sguardo di un uomo, i giovani lapidati per aver ascoltato musica o visto una partita, gay (o presunti tali) fatti volare dal tetto di un palazzo, le bambine stuprate senza pietà.
Inutile negarlo, la condizione in essere nei paesi mediorientali grava sulle nostre coscienze: se Primavera Araba è stata, è stata per merito o colpa nostra. Negare che anche il peggior Gheddafi dovesse essere preservato per evitare l’avanzare di quel che nel substrato nasceva, cresceva e oggi esplode con tutta la sua forza, è da incoscienti o intellettualmente disonesti. Aver permesso per interessi economici alla Francia di farlo fuori senza battere ciglio rende tutti responsabili. Poco importa se oggi il nostro Ministro Pinotti e l’intera classe politica ammettono sia stato un errore, attribuendolo solo all’Eliseo: sapevano cosa si sarebbe rischiato, sapevano cosa stava succedendo. E lo hanno permesso per non urtare gli interessi dell’alleato. Pensare che proprio il leader libico aveva avvisato l’ Europa: “senza di me ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo”.
Ma quel che deve nascere oggi non è il buonismo da quattro soldi di chi allarga le braccia e dice “accogliamo tutti e dialoghiamo con tutti perché anche gli attentatori hanno le loro ragioni”, né tanto meno il pressappochismo di chi, consapevolmente, fa di tutta l’erba un fascio, seminando xenofobia e generalizzazioni pericolosissime. Chi scappa dall’Africa, scappa dalla stanza le cui pareti si avvicinano inesorabilmente, fino a schiacciare chi c’è nel mezzo. Chi compie viaggi interminabili e rischia la vita non può essere abbandonato in nome di “mors tua vita mea”. Non si fa, non si guarda annegare un bambino, un uomo, una donna che vive atrocità anche per colpa della nostra storica inerzia, per colpa del nostro menefreghismo. Non lo si può fare e poi continuare a vivere serenamente come se nulla fosse. Non possiamo più: adesso abbiamo visto, abbiamo conosciuto il nome del bambino riverso esanime sulla sabbia, abbiamo saputo che sotto i veli a Lampedusa c’erano minori, c’erano creature che noi non abbiamo saputo e voluto difendere.
La stanza da cui fuggono è quella dalle cui pareti noi stessi non vogliamo essere pressati.
E noi, proprio quelle stanze le abbiamo appena sfiorate di sfuggita. Loro, tra quelle pareti hanno visto stritolati i corpi di amici, sconosciuti, parenti, concittadini, fratelli e sorelle…persino figli!
Aylan sarebbe certamente rimasto schiacciato ma, nell’odissea verso la libertà, è morto annegato.
“Mettete dei fiori nei vostri cannoni” è uno slogan idealmente straordinario e forse, prima di gettare bombe con dedica (una falsa notizia quella delle scritte “From Paris with love”, come il film) si dovrebbe, tanto per cominciare, non vettovagliare con armi e finanziamenti cospicui queste frange impazzite. Già questo eviterebbe molti bombardamenti e raid.
E’ vero anche che l’altra guancia però non si può porgere ed è necessario che si agisca su più fronti: il primo è quello della consapevolezza. La guerra è uscita dai confini della Syria: è stata portata a Beirut, sui cieli del continente asiatico, in Kenya, Kuwait, Tunisia, Somalia, in Europa.
Siamo in guerra e ci siamo tutti. Non sarà professando odio che saremo più sicuri ma non sarà mettendo la testa sotto la sabbia che si fermerà la carneficina. Non sarà lasciando annegare innocenti che saremo salvi dalle minacce ma non sarà con blandi controlli e frontiere spalancate che troveremo la pace.
Bisogna sviluppare strategie quelle che, come lo stesso Matteo Renzi ha ammesso (ingenuamente forse), non abbiamo. La questione sta tutta nel mettersi d’accordo sul cosa ne sarà dopo. Una volta sconfitto l’Isis, le strapotenze non sono ancora concordi sul chi dovrebbe essere posto al timone di quelle aree. Non sanno ancora a chi poter subappaltare il controllo del Medio Oriente, senza correre il rischio che il loro (il nostro) potere venga ostacolato. Il bandolo della matassa è questo. Del resto è solo una forma di colonialismo 2.0: il re deve garantirsi la sicurezza di mettere al comando un vicere che abbia il polso di mantenere in equilibrio stabile la situazione di questi Paesi-polveriera, ma al contempo non sia così forte da poter minacciare la supremazia dell’Occidente. La realtà, amara e atroce, è questa.
Mentre Obama e Putin si incontrano e scontrano in un clima di Guerra Fredda mai conclusasi, mentre Merkel e Hollande giocano a Risiko dividendosi quel che c’è di interessante in Europa, nel frattempo, dei sanguinari folli distruggono la memoria storica e artistica della civiltà, mettono a ferro e fuoco le città come avveniva nel Medioevo, emettono sentenze di morte in modo feroce e abietto, filmano le loro esecuzioni efferate che ricordano quelle dell’inquisizione. E quegli stessi folli adesso vengono nelle nostre case ad importare il loro modello oscurantista: niente musica, niente sport, niente donne e uomini seduti allo stesso tavolo in pubblico. Quel che è avvenuto a Parigi non è niente di diverso da quello che avviene ogni giorno in Syria. Per una volta se intervento deve essere, sia in nome della difesa reale e non dell’oro nero; sia a tutela degli innocenti, che non hanno patria e cittadinanza ma sono innocenti del mondo e devono essere tutelati dai potenti del mondo. Gli stessi che, uniti, se volessero, potrebbero davvero sconfiggere l’Isis: un’organizzazione militare che inneggia ad un dio dell’odio che non esiste, un gruppo di miliziani il cui numero non andrebbe oltre le 200 mila unità (e questo è il dato maggiore. Secondo altre indagini il numero di combattenti non supererebbe qualche decina di migliaia).
E il mondo intero non riesce a fermare l’avanzata di duecentomila persone? Davvero volete farci credere che fino ad oggi avete combattuto per sconfiggerli e arrestare la loro offensiva? Di duecento mila pazzi sanguinari che intanto fanno proseliti in giro per il pianeta e ingaggiano i migliori per formare militarmente le loro truppe? Bè sembra sinceramente inverosimile, persino pensando al potenziale della sola Italia il cui ministro dell’Interno annuncia l’impiego di decine di migliaia di militari per la sicurezza di Roma durante il Giubileo.
Ecco perché la fiducia verso il futuro e nei riguardi di chi ci governa vacilla. Ecco perché ci sentiamo tutti un po’ più complottisti. Solo fino a 15 anni fa non ci avrebbe mai sfiorato l’idea che dietro un attentato al cuore dell’Occidente potesse esserci un po’ di responsabilità di chi lo governa, oggi è uno dei primi pensieri che saltano alla mente, in certi casi.
Ci sono stanze e stanze: quelle dentro cui i potenti, spesso ignorando la voce della coscienza che forse hanno persa per strada, prendono decisioni in grado di condizionare le vite di tutti noi; e le stanze le cui mura si avvicinano pronte a schiacciare chi c’è dentro.
Stanze di una guerra mondiale che seguiamo in diretta e che era stata predetta: ci aveva pensato Gheddafi.
n.b. è un inciso che sento di voler fare questo. La scelta dell’immagine in evidenza è stata abbastanza complessa perché digitando Siria (o Syria) su Google, quel che vien fuori sono immagini che nessuno di noi vorrebbe vedere neanche nei film. Questo dovrebbe seriamente farci riflettere perché quelle scene c’è chi le vive ogni maledettissimo giorno.
fonte immagine in evidenza: 2duerighe.com