Giuseppe Sindoni, Ds Olandina Basket
Non appena terminata la stagione 2014/15, difficile quanto soddisfacente, in via Beppe Alfano sono iniziati i lavori per pianificare il nuovo anno sportivo. L’Orlandina da neo promossa si è salvata con quattro giornate d’anticipo e adesso può preparare la nuova sfida partendo proprio da quanto di buono fatto nel campionato concluso. Il direttore sportivo Giuseppe Sindoni con la solita semplicità e chiarezza ha svelato quali saranno le peculiarità dell’Orlandina che verrà in questa intervista.
In questi giorni l’Orlandina si appresta a porre le basi per il secondo campionato consecutivo in Serie A dopo aver raggiunto una storica salvezza. Quali sono le differenze nella costruzione della squadra fra questa e la scorsa estate?
L’anno scorso abbiamo avuto poco tempo per costruire la squadra e abbiamo dato priorità all’obiettivo della salvezza senza lasciare troppo spazio ad altri tipi di ragionamento. Ad esempio avremmo potuto tenere Tommaso Laquintana invece di darlo in prestito, lo ritenevamo già pronto e avremmo anche risparmiato, avendolo già in casa, ma abbiamo optato per una soluzione più lungimirante che tenesse conto anche del ragazzo. Tornavamo, infatti, in Serie A dopo tanti anni e avevamo molti esordienti, sapevamo che sarebbe stata potuta essere un’annata difficile e non abbiamo voluto inserire Tommaso in un contesto potenzialmente così carico d’ansia e pressione. Abbiamo operato bene, siamo stati efficaci e saggi. Adesso ripartiamo dalla calma di una salvezza raggiunta bene lo scorso anno e possiamo permetterci d’iniziare discorsi d’altro genere.
Come sarà allora la nuova Orlandina?
In controtendenza con quanto fatto in A2, non replicando un modello che ci aveva regalato grandi soddisfazioni, la scorsa stagione abbiamo deciso di affidarci a tanti americani, proprio perché ritenevamo la salvezza l’unico goal. Adesso abbiamo l’obbligo e la volontà di incrementare gli obiettivi. Vogliamo salvarci, ma costruire anche qualcosa che resti, sia dal punto di vista tecnico, puntando su qualche giovane da formare, sia dal punto di vista ambientale, proseguendo un percorso che vuole città, società e squadra sempre più in simbiosi. Proprio per questo proponiamo di darci un’impronta più europea che americana. I giocatori che arrivano dagli States hanno un talento cristallino ed elevano spesso l’asticella della qualità e delle ambizioni di un club, ma culturalmente non sono molto pronti per logiche simili. La base di partenza per la stagione 2015/16 deve essere la partita vinta ad Avellino, non tanto per gli uomini o per alcune giocate, quanto per la mentalità e lo spirito. Quella vittoria ha reso orgogliosa tutta la nostra comunità perché ottenuta attraverso i nostri valori e principi, giocando di squadra, sfruttando l’esperienza dei veterani e le capacità di ognuno senza forzare.
Nonostante sia ancora molto presto, riguardo la formula con cui comporre il roster il quadro è già delineato?
Quasi sicuramente quest’anno utilizzeremo dall’inizio la formula del 3-4-5 (3 americani, 4 europei o Cotonou e 5 italiani) e contiamo di inserire in gruppo almeno un paio di giovani europei che possano crescere con noi e darci una mano fin da subito. Laquintana sarà il cambio del play titolare e stiamo già discutendo con il suo agente il rinnovo contrattuale. Sui veterani, che tanto hanno dato alla nostra causa, faremo insieme a loro delle valutazioni caso per caso. Non continueremo con loro eventualmente solo per il prestigio dato dal fatto che sono icone della pallacanestro italiana ed europea, siamo convinti che siano ancora ottimi atleti e possano darci una mano. Abbiamo un progetto preciso però e, se le nostre esigenze tecnico-tattiche coincideranno con le loro, anche sotto il profilo motivazionale, ogni discorso può considerarsi aperto.
Allora potremo vedere da subito sul parquet qualche novità..
Diciamo che vorremmo avere un’identità di gioco più europea, basata maggiormente sul gioco d’insieme e che sia coinvolgente per i nostri tifosi. Ci siamo distinti per la capacità d’imbrigliare gli avversari e farli giocare male, nella prima parte del campionato il nostro gioco era fatto per lo più d’isolamenti, con alcuni giocatori che prendevano tanti tiri ed altri che si sbattevano e si limitavano a poche conclusioni. Abbiamo vinto 6 gare in quel modo, ma nella seconda parte invece, dopo la cessione di Freeman, abbiamo cambiato copione e siamo andati molto vicini a quello che vorremmo vedere quest’anno. A Capo d’Orlando la gente vuole vedere giocatori orgogliosi, che si sbattono, felice d’essere a Capo e lottare per loro. Ecco, io mi sento di promettere ai tifosi proprio questo: chiunque scenda in campo darà il 100% per loro.
Il ritorno in A è stato un bel banco di prova per l’ambiente orlandino. Come hai visto tifosi e città e cosa vorresti chiedere loro adesso?
Sono molto contento del pubblico di Capo d’Orlando. Siamo stati tutti bravi a capire che i momenti di festa in Serie A, alzandosi il livello, si riducono, ma la grande enfasi dopo le vittorie ha dimostrato tutta la passione e l’attaccamento della gente alla squadra. La Serie A è un campionato duro, ma non chiederò mai al pubblico di Capo d’Orlando di accontentarsi, anzi di essere pronto perché ha un ruolo determinante. L’unico momento in cui sono arrivati dei fischi è stato alla fine gara persa in casa con Cremona. È un episodio molto significativo perché il pubblico ha manifestato disappunto in quell’occasione nonostante mantenessimo ancora un vantaggio importante sull’ultima posizione in classifica, segno che a Capo non si guarda tanto al risultato, ma all’atteggiamento in campo. Il fattore motivazionale è importante, l’attaccamento anche, non è sbagliato essere esigenti sotto questi aspetti. Il prossimo anno sarà un’altra grossa prova per noi tutti. Mi aspetto che il pubblico risponda ancora di più dal punto di vista numerico, che segua con continuità la squadra e che riempia sempre il PalaFantozzi. L’Orlandina si sta consolidando a livelli importanti e ha troppo bisogno della sua gente.