di Michele Schinella – “Nino Rotolo in carcere mi disse che i servizi segreti e Marcello dell’Utri avevano indotto i ministri Nicola Mancino e Claudio Martelli a contattare il sindaco di Palermo Vito Ciancimino in modo da intavolare una trattativa per far cessare le stragi. Vito Ciancimino contattò il dottore Cinà che a sua volta portò l’imbasciata a Totò Riina e Bernardo Provenzano. Questi fecero avere le richieste ai due ministri per affievolire la legge sul 41 bis e quella sui sequestri. I mandanti della strage di Capaci e di via D’Amelio sono stati Giulio Andreotti e i servizi segreti. Renato Schifani e Angelino Alfano sono stati eletti grazie ai voti della mafia ma poi una volta diventati potenti hanno fatto delle leggi contro la mafia voltando le spalle in modo da coprirsi le spalle. Anche Calogero Mannino aveva un accordo con Cosa nostra. La mafia ha investito un sacco di denaro nelle società di Berlusconi e ha votato per anni per Forza italia”.
Parlavano “a gesti” da cella a cella e non pronunciavamo mai i cognomi delle persone cui facevano riferimento ma Nino Rotolo, boss della mafia palermitana, a Carmelo D’amico (nella foto), collaboratore di giustizia, nel corso della comune detenzione nel carcere di Opera a Milano, ha fatto delle confidenze con tanto di nome e cognome.
Le confidenze avute in carcere sono diventate rivelazioni clamorose.
Le ha fatte oggi, per la prima volta nel corso del processo sulla presunta Trattativa Stato Mafia in corso di svolgimento a Palermo, l’ex boss di Barcellona Pozzo di Gotto, Carmelo D’amico, che collabora con l’autorità giudiziaria da un anno.
Il collaboratore ha spiegato che queste dichiarazioni non le aveva mai fatte prima perché aveva paura che i servizi segreti gliela facessero pagare. Rivolto al pubblico ministero Nino Di Matteo ha affermato: “Voglio che vi interessiate a trasferire i mie parenti. I servizi segreti sono capaci di tutti sono gli autori di tutte le stragi. Siamo in pericolo, sia io, sia lei, sia tutti noi. Non ho nessuna intenzione di suicidarmi. Se viene qualcuno per parlare con me, se non c’è l’autorizzazione dei magistrati di Messina o di lei non voglio parlare con nessuno”, ha detto D’amico.
Carmelo D’amico oltre a quanto gli ha riferito Nino Rotolo, ha raccontato che alla fine degli anni novanta a Barcellona arrivò l’ordine da Palermo di distruggere i ripetitori delle televisioni di Berlusconi e questo si doveva fare in tutta la Sicilia. “Ce ne stavamo occupando io e Sam Di Salvo. Poi arrivò il contrordine: ci fu detto che l’estorsione era stata sistemata ed era stato fatto un accordo con Berlusconi”. Il collaboratore ha poi aggiunto che negli anni successivi da Palermo, dalla Cupola, arrivò l’ordine di appoggiare Forza Italia. “Io stesso mentre ero in carcere nei primi anni novanta organizzai nel carcere di Gazzi un voto a tappeto a favore di questa formazione politica”.
I difensori degli imputati del processo che deve stabilire se dopo le stragi del 1992 la trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia c’è stata e se è penalmente rilevante, al termine dell’esame di Carmelo D’amico, non hanno nascosto il loro disappunto. E hanno chiesto, proprio alla luce della gravità delle dichiarazioni fatte da D’amico, di rinviare il controesame per poter meglio valutare le dichiarazioni, l’attendibilità e la personalità del collaboratore.
L’avvocato Massimo Krog, l’unico a fargli qualche domanda, gli ha chiesto perché ha deciso di collaborare con la magistratura. “Perché sono cristiano e volevo cambiare vita”, ha detto. L’avvocato di Dell’Utri lo ha incalzato: “Ma ha avuto una conversione o è sempre stato cristiano anche quando ammazzava le persone o tagliava loro le mani’”. “Anche allora”, ha risposto D’amico. “Lo so che ho fatto cose che non bisognava fare”, ha concluso. (www.micheleschinella.it)