Si è conclusa ieri, al Camelot, la trilogia sul limite della Compagnia Carullo Minasi. Anche questa volta, il sottoscritto, con Pier Paolo Zampieri, ha avuto l’onore di introdurre e arricchire lapièce. Parlando dal tronco tagliato di una palma centenaria, il sociologo urbano ha contestualizzato il Camelot all’interno della trama di micromondi autoescludenti di cui è costituita la Messina contemporanea.
Tutto il progetto della trilogia itinerante tra Teatro,Tribunale ed (ex) Manicomio, ha cercato di ribaltare questa situazione, trasformando il palco del Vittorio in una piccola e suggestiva platea, portando la “Conferenza” tra le pareti del Camelot. Grazie al progetto Linguaggio Arte, avviato nel 1994 dal dottor Matteo Allone, la creatività è divenuta un pilastro fondamentale della terapia, rivoluzionando completamente quel mondo degradato e umiliante che era il nosocomio Mandalari.
Frutto di questa intuizione è l’arte di Gaetano Chiarenza, schizofrenico disorganizzato in cura presso il nosocomio, che, ultra quarantenne, scopre l’arte dedicandosi a essa con straordinaria passione e con esiti davvero stupefacenti. Sotto la guida dello scultore Stello Quartarone, Chiarenza prima disegna, poi dipinge sulle lenzuola dismesse dell’ospedale, e poi scolpisce piccole sculture di tufo per un pubblico di clienti affezionati. La Conferenza tragicheffimera sui concetti ingannevoli dell’arte si è svolta proprio tra le grandi figure primitive e monumentali della sua pittura, all’interno della Sala dei Cavalieri del Centro, opportunamente allestita dai tecnici del Teatro Vittorio Emanuele, sotto la supervisione registica di Domenico Cucinotta.
Circa cento persone sedute presso le pareti della sala hanno seguito con grande interesse la performance di una Cristiana Minasi alata e piena di energia, resistendo pure al mio breve ma verboso viaggio dentro le opere di Chiarenza.