Scrive a sindaco, ad assessori competenti (commercio, cultura e patrimonio) e al presidente della IV circoscrizione, Davide Rizzo, esperto del sindaco per la progettazione culturale strategica, denunciando come da troppo tempo siano disattese le esigenze di decoro e di valorizzazione riguardanti alcuni tra i più importanti monumenti della città situati nell’area del centro storico. Tra questi, ovviamente, tra gli altri, spicca anche la Galleria Vittorio Emanuele III, sotto i riflettori, negli ultimi tempi, per via delle condizioni di degrado in cui versa, le rimostranze degli imprenditori a cui il Comune non concede il suolo per gli allestimenti e in merito alla quale i consiglieri Lo Presti e Zuccarello, appena qualche giorno addietro, avevano presentato in aula un atto di indirizzo bocciato dai colleghi.
Correva l’anno 2012 quando il Ministero per i beni e le attività culturali ( si veda Gazzetta Ufficiale del 9 novembre 2012) imponeva agli Uffici della Soprintendenza di “effettuare una ricognizione dei complessi monumentali e di impartire le linee di intervento alle amministrazioni locali: “(…) al fine di contrastare l’esercizio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attività commerciali e artigianali (….) nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale (…)”.
“Si rende necessario raccordare le esigenze di decoro del centro storico con lo sviluppo delle attività commerciali, contrastare il degradarsi di tale area ed evitare la proliferazione di quelle attività ambulanti di varia natura che finiscono con il danneggiarne l’assetto”, esordisce Rizzo.
Sono diversi gli aspetti da considerare in premessa, dalla questione della “compatibilità tra le attività commerciali all’aperto e ambulanti” alle “esigenze di tutela e di adeguata qualità della valorizzazione del patrimonio culturale; […] l’esercizio diffuso e talora incontrollato di attività commerciali” e talvolta ambulanti “nell’ambito di aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, specie in quelle contermini ai complessi monumentali e agli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti”. Il consulente mette in evidenza il fatto che “l’esercizio delle attività sopra menzionate può determinare la compromissione delle esigenze di tutela del patrimonio culturale, in quanto potenzialmente confliggente, oltre che con la corretta conservazione e protezione, anche con la salvaguardia dell’aspetto e del decoro dei beni e del significato culturale da essi espresso e rappresentato”. Senza trascurare che “lo svolgimento di attività non compatibili può impedire di assicurare livelli di valorizzazione qualitativamente adeguati allo straordinario valore dei beni interessati, con effetti pregiudizievoli anche sullo sviluppo e la promozione del turismo culturale”. Non si dimentichino i lavori del “Progetto di Valorizzazione partecipata sulla Galleria Vittorio Emanuele III, che il Servizio Valorizzazione del Patrimonio Storico, Artistico e Culturale del Comune di Messina sta conducendo; né che la disposizione in oggetto, attribuisce la competenza a individuare le aree pubbliche di valore culturale, ove vietare o limitare l’esercizio del commercio, esclusivamente all’amministrazione comunale; salvo prevedere un parere del Soprintendente”.
Scopo della missiva è dunque sollecitare all’ individuazione di “aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio ex art. 52 del D.Lgs. n.42/2004”, tra le quali viene indicata per l’appunto proprio la struttura di Piazza Antonello. La proposta “poggia su un cospicuo complesso normativo”, specifica lo scrivente. In merito alla questione commercio, precisa come con “le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore, i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio. (comma così modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 62 del 2008) 1-bis. Al fine di contrastare l’esercizio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attività commerciali e artigianali in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, con particolare riferimento alla necessità di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e le soprintendenze, sentiti gli enti locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico”.
Cosa significa concretamente “valorizzare il patrimonio culturale”? Incentivare “l’attività diretta a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso” e per la tutela dei beni culturali immobili, la norma prevede che si assegni al Ministero la “(…) facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Pertanto, gli “enti pubblici territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime (…) negli strumenti urbanistici (…)”.
Inoltre, spiega Rizzo, la regola vuole che “in attesa della revisione dell’art. 41 della Costituzione Comuni, Province Regioni e Stato (…) adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: (…) d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale”; e continua evidenziando come costituisca principio generale dell’ordinamento italiano, la libertà di apertura di esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali.”