Diciamoci la verità, nessuno che abbia assistito (live, seguendo lo streaming o le cronache giornalistiche) si può dire sinceramente sorpreso per quanto avvenuto in aula ieri. Palazzo Zanca come il Colosseo: non è chiaro chi siano i gladiatori e chi gli spettatori, di certo al popolo non va riconosciuto, al termine dell’agone, la facoltà di decidere il futuro dei partecipanti ai munera: siano essi eletti o nominati (consiglieri o membri della giunta e finanche funzionari) resteranno al loro posto qualunque cosa accadrà, fino alla fine del mandato assunto. Delegittimarli? Pretenderne le dimissioni? Niente affatto, sarebbe pratica fin troppo democratica e opportuna quindi decisamente inusuale.
E così restano al loro posto, tutti anche se qualcuno il proprio posto forse non sa neppure dov’è, visto che la presenza a Palazzo, per alcuni personaggi si traduce in una saltuaria frequentazione, utile quel tanto necessario per garantirsi la “pagnotta” a fine mese.
Dopo settimane di rimpalli tra commissioni e consiglio, botta e risposta e tentativi di mettere una toppa, richiami dei funzionari e revisioni in corner, ieri, gioco forza, l’iter d’aula riprende da dove si era interrotto venerdì, quando la seduta era andata pressoché deserta. Solo 19 i consiglieri presenti appena l’altro ieri durante la convocazione ordinaria, in occasione della quale la capogruppo Ncd, Daniela Faranda, richiedeva il prelievo della delibera affinché se ne discutesse senza indugiare oltre. Per assenza del numero legale si metteva tutto in stand by per riprendere 24 ore dopo, stavolta con un plus: il parere fino al giorno prima mancante.
Diciamoci la verità, nessuno può essersi meravigliato dell’esito della votazione, favorevole verso l’atto dell’amministrazione (rimaneggiato dopo la segnalazione delle criticità) e neppure del fatto che, anche stavolta, non ci fosse il sold out. Ventinove (su 40) i presenti che hanno assistito e animato la seduta fiume durata cinque ore e durante la quale non sono mancati scontri e sospensioni; ma anche questo, diciamoci la verità, non meraviglia!
Passa l’atto grazie a diciassette consiglieri: Abbate, Adamo, Amadeo, Amata, Cardile, Carreri, Cucinotta, Fenech, Gioveni, La Paglia, Pagano, Perrone, Risitano, Rizzo, Santalco, Trischitta e Parisi. Si sono dichiarati contrari invece Burrascano, Contestabile, De Leo, Lo Presti, Russo, Scuderi, Sindoni, Sturniolo e Zuccarello; astenuti David (Paolo), Faranda e Barrile.
Non meraviglia ma perplime che il tavolo di presidenza fosse occupato di diritto solo da Emilia Barrile e che durante la sua assenza (per brevi parentesi di tempo, verosimilmente utili per rifiatare durante le cinque interminabili ore) sia stata sostituita da Nicola Cucinotta perché i suoi vice erano entrambi assenti (Crisafi in aula nella prima fase dei lavori, Interdonato giustificato).
Non meraviglia che vi siano stati tafferugli e neppure che uno dei protagonisti sia stato il “passionale” e veemente Pippo Trischitta, scagliatosi contro Daniele Zuccarello. Volendo parafrasare l’accusa formulata dal capogruppo di Forza Italia, il democrat, “colpevole” di vestire i panni del paladino di giustizia e verità, non dovrebbe dimenticare il passato recente. Il riferimento è al caso Feluca e la responsabilità a cui non è immune chi abbia ricoperto ruoli all’interno della partecipata.
Ma se in prima istanza a prendere le “difese” del collega è Donatella Sindoni, data la momentanea mancanza in aula del consigliere progressista democratico, quando Zuccarello rientra in sala consiliare non si lascia, ovviamente, scivolare addosso gli attacchi dell’avvocato azzurro e scoppia il patatrac che porterà la Presidente a sospendere momentaneamente i lavori.
Le scene poco edificanti, bè neanche quelle meravigliano granché, indipendentemente dal chi abbia torto e chi ragione. Sarebbe certamente dignitoso non trovassero spazio in certi contesti. Trischitta (“che sbaglia i modi ma non nei contenuti”, bisbiglia qualcuno, durante una delle pause, commentando quanto accaduto) ne ha anche per Nina Lo Presti e non sembra essere il solo.
Chissà a chi si riferiva invece l’assessore De Cola (presente insieme al sindaco e ai colleghi di giunta – eccetto Mantineo -) durante il suo intervento di chiusura: in sintesi l’amministratore ha sostenuto che se si accusa l’esecutivo facendo riferimento alla continuità con il passato, parlando di connivenza e sottintendendo malafede o mala gestio consapevole, perché si ha causa cognita di possibili intrecci tutt’altro che limpidi, è bene si vada in Procura a denunciarlo (piuttosto che usarlo come argomento vago, a scopi politici, in buona sostanza, aggiungiamo).
Questo orientativamente quel che ha asserito e che possiamo presumere -ma è solo una presunzione, volendo leggere tra le righe del discorso -, fosse diretto anche a qualche “fuoriuscito” da CMdB. Un intervento, quello dell’assessore con delega ad energia, mobilità, viabilità e trasporti, comunicazione e innovazione, rapporti con l’Europa e il Mediterraneo, giunto dopo il voto dell’aula che si è divisa tra favorevoli, contrari e astenuti, non senza polemiche che non solo si sono susseguite fino ad ora ma che, di certo, non mancheranno anche nei prossimi giorni.
Adesso la palla ripassa al ministero: da Roma giungerà l’ok o la bocciatura ad un Piano di riequilibrio che, dopo infiniti giorni e appuntamenti in commissione e consiglio comunale, resta ancora ammantato da luci ed ombre.