La Juventus spreca un altro match point, non andando oltre il pareggio nel posticipo di Cesena, e il campionato resta vivo malgrado l’ennesimo passo falso della Roma, fermata dal Parma nell’altro testacoda dell’Olimpico. Questo il succo della ventitreesima giornata di serie A, che ha visto gli dei – se non cadere tutti – quanto meno impantanarsi.
Era già accaduto, l’ultima volta due settimane fa: giallorossi in panne contro una piccola (l’Empoli) davanti al pubblico amico e bianconeri, impegnati in una trasferta non insormontabile (quella di Udine), incapaci di approfittarne quando invece avrebbero dovuto azzannare la preda con la bava alla bocca. Distanze invariate in vetta, i punti di vantaggio restano 7, ma la sufficienza con la quale gli uomini di Allegri, pur orfani del totem Tevez, sono scesi in campo al “Dino Manuzzi” non può che essere evidenziata. E il fato, se vogliamo, ci ha messo del suo: qualora Vidal avesse realizzato quel rigore a 8 minuti dalla fine, la capolista avrebbe centrato una vittoria immeritata. Onore al Cesena, bravo a restare a galla dopo l’uno-due confezionato da Morata e Marchisio a cavallo della mezzora. Il sinistro di Brienza, confermatosi spauracchio Juve a dispetto delle quasi 36 primavere sulle spalle, alimenta le speranze salvezza dei romagnoli.
Scendendo di un gradino, la Roma in casa non sa più vincere, l’ultima gioia interna risale al 30 novembre 2014. Basterebbe questo dato per cassare le residue velleità di scudetto del complesso guidato da Garcia, se non fosse che la sagoma della Signora Omicidi stenta ancora a materializzarsi, a suo rischio e pericolo. Contro i ducali i capitolini hanno inscenato l’ennesima recita incolore, lo scialbo 0-0 maturato contro una squadra di fatto già retrocessa – e con la testa soprattutto alle vicende societarie – fa accendere tutte le spie nelle segrete stanze di Trigoria. A De Rossi e compagni resta pochissimo tempo: se il 2 marzo non si aggiudicheranno lo scontro diretto contro la Juventus, faranno bene a concentrarsi esclusivamente sulla difesa di quel secondo posto che vale la qualificazione diretta alla prossima Champions. E quindi un’estate serena.
Il margine sul Napoli è salito a cinque punti, grazie alla nuova impresa dello splendido Palermo targato Iachini, che nell’anticipo di sabato sera – trascinato dai soliti Vazquez e Dybala – ha calato un bel tris sul piatto partenopeo, interrompendo così la striscia di vittorie inanellata recentemente dagli azzurri. I rosanero non sono più una sorpresa, guardano dall’alto le milanesi e puntano le genovesi, ormai distanti solo due lunghezze.
Doverosa si impone una parentesi: cosa avrà pensato Lotito di questi tre risultati? E se il piccolo Cesena riuscisse a salvarsi? Quanto varrebbe un Palermo in Europa League?
Lui, Claudio l’onnipotente, che spinge per manipolare illecitamente la B (“Carpi e Frosinone? L’ho già fatto presente ad Abodi, al massimo una può essere promossa, all’estero neanche sanno della loro esistenza”) così da ottenere una serie A composta esclusivamente da club trasudanti appeal spendibile in sede di vendita di diritti tv.
Lui, divenuto nel volgere di pochi mesi l’assoluto deus ex machina del pallone di casa nostra, riuscendo a imporre Tavecchio e a mettere le mani in pasta ovunque. Figc, Leghe…tutto passa dal presidente della Lazio in evidente conflitto di interessi, nonché il più odiato di sempre dai suoi stessi tifosi.
In un Paese normale, il signor Lotito, pardon dottore (in pedagogia, non è una barzelletta!), dopo essere stato pubblicamente sputtanato, avrebbe rinunciato ad ogni ruolo istituzionale, formale e sostanziale. E invece, anziché dimettersi anche da se stesso, il plenipotenziario consigliere federale è arrivato a dire in conferenza stampa che “sì, è vero, il problema è rappresentato dalle piccole realtà che dalle serie inferiori arrivano in A”.
In un Paese normale, se il signor Lotito dell’io…io…io…(Pippo Baudo in confronto è l’umiltà televisiva) non si dimette dopo lo scoperchiamento del vaso di Pandora, intervengono d’imperio le autorità preposte con una bella pedata nel sedere, meglio ancora se accompagnata dall’azzeramento dei vertici del calcio italiano, tutti.
Ma in un Paese anormale, come il nostro, finora ci si è limitati a stigmatizzare le “gravi affermazioni” dell’impunito Claudio amante dei latinismi. Federazione e Lega non possono detronizzare il loro padre-padrone? Bene, siano Coni e Governo a cacciarlo dai palazzi, le censure verbali non bastano. Dopo aver ascoltato quelle parole immorali, che sconfessano l’essenza intrinseca dello sport con lo stesso fragore di una bestemmia urlata in Chiesa, sarebbe davvero il minimo sindacale.
Chiusa la digressione, concludiamo brevemente la disamina settimanale partendo dalla Fiorentina, che passando sul terreno del Sassuolo grazie alla premiata ditta Babacar-Salah ha mantenuto la quarta piazza. La Lazio però è sempre a ruota: i biancocelesti hanno infatti espugnato il “Friuli” di Udine con un cucchiaio di Candreva dal dischetto, riscattando immediatamente la sconfitta di lunedì scorso contro il Genoa, a sua volta ripetutosi ieri a spese del Verona, annichilito a Marassi con un sonoro 5-2.
Capitolo milanesi: nella personale guerra tra poveri, l’Inter ha staccato il Milan imponendosi a Bergamo con un 4-1 figlio soprattutto dell’inferiorità numerica sofferta dall’Atalanta nella ripresa. In tempi di vacche magrissime il secondo exploit consecutivo è quasi un miraggio, al pari della nuova prestazione superba di Fredy Guarin. I rossoneri, invece, hanno colto un punticino con l’Empoli a San Siro, in totale fanno 5 nelle ultime 7 partite. Dopo Seedorf bruciato inesorabilmente anche Inzaghi, esperimento fallito: a Super Pippo la gavetta serviva, eccome.
Nella zona calda, infine, pesantissimo il successo conseguito dal Chievo ai danni di una Samp in caduta libera, mentre il pari di Torino muove la classifica del Cagliari.