L’onorevole non convince, c’è Sciascia ma manca il resto

Sciascia non è un grande autore teatrale. Lui stesso lo conferma, non solo nel fatto che ha scritto solo tre testi, L’onorevole, Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A. D. e I Mafiosi, ma nell’avvisare i suoi lettori, proprio nella nota introduttiva alla storia del professor Frangipane (presente solo nell’edizione del 1965) che “il destino di questa commedia che non è una commedia è forse soltanto quello della lettura”. Da un lato quindi, non possiamo che apprezzare la volontà di Enzo Vetrano e Stefano Randisi di riportare sulle scene un testo più che mai attuale e ricco di spunti, con dialoghi che non necessitano di adattamenti o modifiche, ma certamente l’impatto con questi personaggi è mancato di quella satira, di quello slancio appassionato che, pur nell’amarezza della ragione sciasciana, rende leggera ma potente anche la denuncia sociale.

L’ascesa del professor Frangipane, che nelle prime battute incarnava quasi lo stesso autore, un uomo di lettere idealmente parte di quell’esercito di insegnanti che avrebbero potuto “salvare” il Paese, sopraffatto da una repentina elezione al Parlamento e poi da una lunga carriera politica fatta di meschinità e menzogne, intrighi e compromessi, cedimenti e tradimenti pubblici e privati, non si è rivelata sulla scena, con un Enzo Vetrano che non segue la stessa ascesa, ma resta quel “modesto” professore anche quando sta per diventare ministro.

Così come il dramma della moglie Assunta, il travaglio interiore che la condurrà alla drammatica giustificazione di essere diventata “pazza” (con tutto il gioco di maschere pirandelliano e quello molto sciasciano della verità a cui nessuno crede) non ha sconvolto i tratti di Laura Marinoni, la cui tensione scenica non ha superato le prime file del teatro. La metamorfosi dei personaggi, soprattutto quando si ritrovano lei e il marito, in quell’ultimo intenso dialogo, che svela quel rimpianto per “il freddo, le soperchierie, i debiti che erano il prezzo di qualcosa che è andato perduto”, ci ha lasciato desolati, come un’incompiuta. In fondo è lei il personaggio principale, quello che più dello stesso Onorevole incarna l’umanità, la coscienza, l’anima per l’appunto, di tutta la vicenda.

L’idea di Sciascia di svestire dei suoi panni l’attore, poi, sebbene oggi può sembrare banale, era stata affidata ad un personaggio in particolare, proprio in virtù dell’ambiguità che l’autore riconosceva e denunciava di certa chiesa. Quindi non capiamo perchè anche l’ultimo “colpo di scena” sia stato svuotato di quella forza espressiva che il testo originale proponeva.

Certamente il pubblico messinese poteva riservare un’accoglienza più generosa e il silenzio di molti posti vuoti avrà influito sull’applauso finale, ma chi si aspettava di ritrovare l’ironia, il cinismo, la modernità (che la terminologia usata da Sciascia con i termini “partitocrazia”, “tangenti”, “accordi” (con la mafia), “correnti” e “controcorrenti” consente) è rimasto deluso. (@Palmira.Mancuso)

 

 

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