Sono passati esattamente 56 giorni da quando abbiamo denunciato la storia di E.V., costretto a vivere in una cabina elettrica dismessa in condizioni davvero disumane. Appelli e indignazioni caduti nel vuoto, rimbalzi di responsabilità istituzionali da Comune a Servizi Sociali, ma intanto la sua triste situazione non è cambiata. Non è stato certo un Natale speciale per quest’uomo, non è stato un giorno di festa tanto diverso dagli altri che uno dopo l’altro scorrono via segnando la sua precaria esistenza.
E.V. del resto ha poco da festeggiare dal momento in cui sono ormai cinque anni che la strada è l’unica amica rimastagli. Un parte della famiglia non ce l’ha più, l’altra metà di lui non vuole saperne nulla e chissà se ricorda ancora cosa significa vivere sotto un tetto sicuro, dentro delle mura solide, in una stanza riscaldata magari davanti ad una tv accesa. La normalità ormai è quel suo misero tugurio che di natalizio ha ben poco, così come il degradato contesto urbano che lo circonda. La quotidianità ha il volto della solitudine, frutto di una vita difficile e ingiusta. In quel volto si legge l’amarezza di aver perso tutto, nella sua voce la stanchezza di chi vorrebbe dare una svolta alla propria storia.
Quando racconta di come ha passato queste prime feste scappa però un sorriso: qualche anima pia ha pensato a lui, regalandogli cibo e un’ora di compagnia, alleviando quel senso di smarrimento che fa da cornice al passar del tempo; la rassegnazione lascia però spazio alla speranza quando E.V. afferma di pensare a fare causa alla banca per provare a farsi risarcire i danni morali di cinque anni vissuti in preda alla disperazione dopo il pignoramento della casa ereditata dalla madre a causa del fallimento di una società per la quale lo zio l’aveva ipotecata. Non sembra essere certo di ciò che dice, ma confida nell’arrivo del nuovo anno, di una bella notizia, magari di riappropriarsi in qualche modo della dignità perduta. Nel domani confida ancora, anche se di risposte alle sue domande non ce ne sono.
Anche Asia Usb, l’associazione che ha scelto di sposare la causa del povero messinese di 56 anni, cerca di offrirgli sostengo e dare luce alla sua speranza: quella di poter abitare un casa vera e ricominciare a vivere. Allo stesso tempo però, denuncia l’associazione, l’Amministrazione comunale di Messina sembra mostrare fin troppo poco interesse rispetto alla grave emergenza abitativa, osteggiando anche la politica dell’auto recupero degli edifici dismessi, come nel caso dell’ex scuola “Paradiso”, quando con una dura nota il sindaco Accorinti accusò i militanti per il diritto alla casa di clientelismo e atti di violenza per aver occupato l’edificio in favore di 4 famiglie con gravi problematiche e senza un alloggio temporaneo.