Sconforto, rabbia, impotenza. Questi i sentimenti che in queste ore vivono gli operatori del centro di prima accoglienza Casa Mosè, nata grazie alla onlus Amici dei Bambini (che tra l’altro con il comune aveva firmato un protocollo anche per l’accoglienza in famiglie affidatarie), che dal prossimo 18 novembre chiuderà. Ragazzi che in questi mesi hanno vissuto, dopo il trauma dello sbarco, in una comunità protetta che ha garantito anche la possibilità di una scolarizzazione. Ragazzi affidati a dei tutori da parte del tribunale dei minori, e che ora verranno trasferiti in una struttura ministeriale.
“Con un comunicato di 9 righe (9!!!) – scrive l’Aibi Messina – il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Messina ha annunciato il trasferimento dei 18 minori, tutti africani e di età compresa tra i 14 e i 17 anni, presso altre strutture della città siciliana: 11 di loro andranno all’Ipab e gli altri 7 saranno accolti dalla Cooperativa Santa Maria della Strada. Una soluzione che ignora del tutto, tra l’altro, le più di 1400 famiglie in tutta Italia che hanno dato disponibilità ad accogliere in affido questi giovani migranti: a quanto pare, allo Stato, l’accoglienza familiare proprio non piace”.
“E’ un fatto gravissimo – dichiara Clelia Marano, ex esperta per la mediazione culturale – è la conferma di come non ci sia stata nessuna programmazione da parte del Dipartimento ai servizi sociali, nè l’attenzione sollecitata per fronteggiare questo fenomeno di cui il Comune deve farsi carico. Faccio appello ai tutori di questi ragazzi, affinchè si oppongano al trasferimento. I bambini sono solo 11, io sono disposta a prenderne in carico tre. In passato anche altre persone del movimento hanno aperto le loro case. Creiamo le condizioni per non interrompere quel percorso di integrazione garantito dalla comunità protetta”.
Casa Mosè, inaugurata a dicembre 2013, nell’ambito del progetto “Bambini in alto mare”, lanciato da Ai.Bi. per l’accoglienza dei Misna. Durante questi 11 mesi sono stati oltre 100 i minori in fuga dalla guerra e dalla miseria e sbarcati in Italia da soli, che grazie al lavoro dei volontari Ai.Bi. non hanno rischiato di finire nel tunnel della criminalità e del traffico di esseri umani. Non sono rimasti per strada. Non hanno fatto perdere le proprie tracce.
“Ma tutto ciò, evidentemente, allo Stato non interessa – continuano amareggiati i responsabili Aibi di Messina – In quasi un anno, le istituzioni non hanno sostenuto in alcun modo l’ospitalità dei Misna (minori immigrati stranieri non accompagnati) presso Casa Mosè, così come non l’hanno fatto per tutte le strutture di accoglienza delle altre organizzazioni del Terzo Settore che si sono impegnate su questo fronte. E che dalle istituzioni non hanno ancora ricevuto alcuna risposta alle loro necessità di essere supportate nella difficile missione di garantire un’accoglienza giusta a questi giovanissimi migranti. Al contrario, si è assistito a un penoso rimpallo di responsabilità tra le istituzioni stesse: Ministero dell’Interno e prefetti da una parte, Comune di Messina dall’altra. Insomma, i soldi ci sarebbero, ma non si sa da chi dovrebbero arrivare. E non sono mai arrivati.
La decisione da parte di Ai.Bi. di chiudere Casa Mosè è figlia di tutto questo. Una chiusura già paventata nel luglio scorso, quando, dopo aver speso 150mila euro – tutti di tasca propria – per i primi 7 mesi di attività, si rischiò di non poter più proseguire. Per fortuna, in quell’occasione, si riuscì a trovare una soluzione: Casa Mosè non chiuse, ma si limitò a cambiare sede, trasferendosi nel quartiere messinese di Camaro. Si è riusciti a “tirare avanti” per altri 4 mesi, spendendo altri 60mila euro, anche in questo caso senza mai avere un euro di supporto dallo Stato. Ora però non è più possibile andare avanti.
Anche perché, pur volendo sopportare ulteriori sacrifici, il futuro appare decisamente fosco. Il fondo 2014 per i Misna, che prevedeva lo stanziamento di 20 euro giornalieri per ogni ragazzo accolto, è stato sbloccato in estate con grandi proclami che non hanno trovato riscontro nella realtà. Ai.Bi. Non ha visto un solo euro! E fino a questo momento lo Stato non ci ha messo niente e le associazioni di Terzo Settore tutto. Senza limitarsi a offrire solo un tetto e un letto su cui dormire, ma anche – come nel caso di Casa Mosè – servizi educativi, ricreativi, di socializzazione e integrazione. E scolastici: Casa Mosè li stava infatti accompagnando nel percorso per ottenere la licenza media, che non verrà garantita dai nuovi enti che li ospiteranno. Insomma una vera accoglienza a misura di minore. Perché sarebbero proprio i minori, e nessun’altro, a usufruire dei fondi che lo Stato dovrebbe fornire. Dovendovi rinunciare, sono sempre i minori a rischiare, ora, che il loro futuro venga gravemente compromesso”.
Nei giorni scorsi l’assessore Mantineo ha pubblicamente esaltato e difeso il lavoro del dipartimento guidato dal dirigente capo Giovanni Bruno. Eppure, visti i risultati, sorge un dubbio che merita una risposta: è stata fatta richiesta al Ministero dei fondi destinati ai Misna? se si, vorremmo capire dove sono finiti. Se la richiesta non è stata nemmeno avanzata, allora è ancora più grave: è l’assoluta incapacità amministrativa. (@Palmira Mancuso)