Cesena-Verona e Lazio-Cagliari, in programma a partire dal tardo pomeriggio di oggi, chiuderanno il quadro della decima giornata del girone di andata, che però ha già espresso diversi responsi significativi.
Il weekend appena trascorso condanna innanzitutto le milanesi. Non siamo ancora alla Cassazione, ma gli analoghi ko contro Palermo e Parma, in quelli che una volta si sarebbero chiamati testacoda, danno adito a più di una riflessione. Badate bene, la definizione è impropria sol perché da tempo ormai Milan e Inter non sono squadre di vertice, la classifica delle avversarie settimanali l’avrebbe pienamente giustificata.
Che entrambe non fossero in grado di competere per lo scudetto lo si sapeva, ma sinceramente all’intermedio del primo quarto di campionato era lecito aspettarsi qualcosa in più dalle meneghine, specie dopo l’avvio incoraggiante. I rossoneri erano reduci da due pareggi, i nerazzurri da altrettante vittorie di rigore, le sconfortanti debacle rimediate con il più classico dei risultati certificano un malessere comune, ma dalle differenti chiavi di lettura.
Premessi gli immensi meriti del Palermo – giù il cappello al cospetto di Iachini e Dybala – se a Pippo Inzaghi può essere ancora concessa l’attenuante del noviziato, perché è molto difficile trovare la quadratura (specie alla prima esperienza “vera”), per Walter Mazzarri il discorso è ben diverso. L’anno scorso il teorema del “cantiere aperto” poteva reggere, ora non più. Quest’Inter non sembra una sua squadra, non somiglia al Napoli dei tenori e neanche alle Samp e Reggina che furono. Tutte compagini che si caratterizzavano per un dna inconfondibile, oltre che per una precisa identità di gioco. Al netto di qualsiasi contrattempo (infortuni e assenze varie), quando la mano di un allenatore non si vede dopo ben 16 mesi di lavoro, bisognerebbe ammetterlo anziché arrampicarsi sugli specchi. Lo staff capeggiato da Erick Thohir verosimilmente sta già pensando al futuro, al tecnico di San Vincenzo il compito di non generare accelerazioni di sorta, senza scomodare il vecchio refrain sul panettone.
La Roma merita un capitolo a parte. La sensazione è che la pesantissima scoppola subita in Champions due settimane fa, per mano del Bayern, abbia sgretolato parecchie certezze in casa giallorossa, a partire da quelle di Rudi Garcia, che probabilmente in cuor suo si sarà pentito di alcune recenti uscite sin troppo spavalde. Dopo l’aggancio in vetta maturato nel turno settimanale, in pochi pensavano di assistere all’autentica lezione di calcio impartita dagli uomini di Benitez ai capitolini nel derby del sud, il primo dalla morte di Ciro Esposito. Il Napoli ha vinto 2-0, ma se i gol azzurri sabato fossero stati 4 o 5 ci sarebbe stato poco o nulla da dire. Sbloccatosi Higuain e con un Callejon così, i partenopei possono sperare di mantenere questo livello, lo stesso ammirato per larghi tratti della scorsa stagione. La nottata per Rafa sembra passata.
La Juventus, dal suo canto, ha riconquistato il primato solitario, ma anche a Empoli ha giocato part-time, degnandosi di scendere concretamente in campo per poco più di mezzora. E non è certo la prima volta dall’avvento di Allegri in panchina. La trasferta toscana ha regalato due sorrisi ai bianconeri: il ritorno al gol di Pirlo, molto importante dal punto di vista psicologico, e l’ulteriore conferma arrivata da Morata, destinato presto o tardi ad appropriarsi in pianta stabile della maglia da titolare a discapito di Llorente. Rientrerebbe nella logica delle cose, ma nel calcio il condizionale è d’obbligo. A proposito del buon Alvaro, vien da sorridere ripensando ai soloni che in estate avevano criticato le strategie di Madama, rea di non aver puntato sugli attaccanti italiani che gravitavano nella sua orbita, Immobile in primis, a beneficio di “quel giovane spagnolo”. Chi vi scrive è da sempre un fautore del made in Italy, ma bastava masticare un po’ di calcio internazionale per cogliere la differenza che passa tra Immobile e Morata: la stessa che intercorre tra buoni giocatori e top player in fieri. A voler tacere del fatto che Ciro fatica a trovare spazio nel peggior Borussia Dortmund della storia recente, attualmente terzultimo in Bundesliga.
Brilla la Lanterna e non potrebbe essere altrimenti considerato il rendimento di Sampdoria e Genoa, rispettivamente terza e quarta forza del campionato. I doriani si sono sbarazzati della Fiorentina a Marassi, con un 3-1 che ammette poche repliche. Mihajlovic continua a incantare, nel suo futuro non potranno che esserci panchine prestigiose. Ma Gasperini, se vogliamo, sta facendo ancora meglio con una rosa infarcita come di consueto di volti nuovi. Da tempo Preziosi pensa che il mercato sia uno dei suoi Giochi, fortuna che dispone di un allenatore preparatissimo.
L’impresa del “Friuli” va sottolineata con l’evidenziatore più fluo che ci sia, Gasp non soltanto lancia giovani (Mandragora l’ultimo, qualche giorno fa), ma sta riuscendo persino a rivitalizzare Matri ed a trovare il modo per far rendere al meglio Iago Falque, talento scaricato da Real Madrid, Barcellona, Juve e Tottenham ma pronto finalmente a spiccare il volo. Davvero tanta roba, a Genova almeno per il calcio si può sorridere.
Per quanto riguarda le rimanenti partite, sia Torino-Atalanta che Chievo-Sassuolo si sono chiuse a reti inviolate, pareggi comunque importanti per muovere la parte bassa della classifica.
Jody Colletti @jodycolletti